venerdì 18 maggio 2012

Le cause della crisi energetica di Gaza, e alcuni interessanti risvolti

Quali sono gli interessanti risvolti di questa vicenda?
Una rivendicazione nel contesto della polemica fra l'autorità di Hamas e il governo egiziano, dell'appartenenza del popolo palestinese allo stesso popolo egiziano (e saudita) principalmente. 

 

Braccio di ferro Hamas-Fatah
Gaza nella morsa del settarismo
Andrea Dessì
13/04/2012


Da due mesi la Striscia di Gaza è alle prese con una profonda crisi energetica. In seguito ad un aumento di controlli da parte delle autorità egiziane, dal febbraio scorso gli approvvigionamenti di carburante, che in passato giungevano a Gaza attraverso la rete di tunnel sotto il confine con l’Egitto, si sono interrotti. Per il milione e mezzo e oltre di palestinesi residenti nella Striscia, la mancanza di carburante, e quindi di elettricità, sta avendo ripercussioni pesantissime.


Contrabbando 

Ancora una volta la popolazione di Gaza è rimasta ostaggio della spaccatura ideologica che da cinque anni contrappone Fatah, il partito laico-nazionalista capeggiato da Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), al partito di resistenza islamico Hamas, al potere a Gaza dal giugno 2007. Da settimane le due fazioni palestinesi si scambiano durissime accuse, ritardando i negoziati,con la mediazione egiziana, per il ripristino delle forniture energetiche. Tutte le parti interessate, inclusi gli egiziani, stanno usando la questione energetica come strumento di pressione politica, mentre i residenti di Gaza da settimane subiscono interruzioni di elettricità che durano dalle sei alle diciotto ore al giorno. 
All’origine della crisi vi è la decisione, assunta da Hamas più di un anno fa, di porre fine alle importazioni di carburante che attraverso i valichi di frontiera controllati da Israele, arrivava all’unica centrale elettrica della Striscia, che copre il 60% del fabbisogno energetico di Gaza. Il partito islamista, che giudicava troppo costosa l’operazione, ha preferito aumentare la propria dipendenza dal carburante contrabbandato dall’Egitto attraverso i tunnel sotterranei. 
Acquistando carburante a basso costo in Egitto e rivendendolo a Gaza a prezzo maggiorato, Hamas realizza ottimi margini, che si aggiungono alle entrate provenienti dalle tasse imposte su ogni merce che passa attraverso i tunnel sotterranei tra Egitto e Gaza. Il governo di transizione egiziano, vicino all’esercito e composto da personaggi legati al regime di Mubarak, accusa Hamas di sciacallaggio.


Pressioni e riconciliazione 
L’Egitto ha dato la propria disponibilità a rifornire Gaza di carburante, a patto che venga trasportato attraverso il valico di Karem Shalom al confine tra Gaza e Israele. Il carburante andrebbe acquistato dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), che tradizionalmente copre gran parte dei costi energetici di Gaza attraverso i fondi della comunità internazionale. In questo caso il carburante verrebbe tassato dall’Anp che quindi si aggiudicherebbe cospicui proventi. Hamas ha però rifiutato l’offerta, chiedendo alle autorità egiziane di aprire una rotta diretta tra il Cairo e Gaza. 

Hamas accusa sia l’Egitto che l’Anp di collaborare con Israele per tenere sotto pressione le autorità di Gaza. Anche i Fratelli Musulmani d’Egitto, reduci dalla vittoria nelle elezioni parlamentari, si erano detti favorevoli all’apertura di una rotta di commercio tra l’Egitto e Gaza. I Fratelli stanno cercando di convincere Hamas ad avvicinarsi alle posizioni, più moderate, di Khaled Meshal, capo dell’ala politica di Hamas residente all’estero, che nel maggio 2011 e il febbraio scorso aveva firmato accordi di riconciliazione con Fatah. 

La strategia di Hamas a Gaza punta dunque sul sostegno dei Fratelli Musulmani egiziani per stabilire un precedente che porterebbe alla completa riapertura del valico di Rafah, l’unico passaggio di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. 

Nel maggio 2011 il nuovo governo di transizione egiziano aveva annunciato la riapertura del valico di Rafah al solo transito pedonale (e con sostanziali restrizioni), rifiutandosi però di estenderlo anche allo scambio di merci, per non sollevare Israele - questa la motivazione - dalle sue responsabilità di paese occupante.

Senza fine 
Di recente l’Egitto ha annunciato l’inizio dei lavori per la costruzione di un oleodotto che consentirà il trasferimento di carburante direttamente dal Cairo a Gaza, ma nel frattempo Hamas dovrà collaborare con l’Anp per acquistarlo da Israele.

A Gaza, intanto, la situazione sta peggiorando. La Croce rossa internazionale è dovuta intervenire per fornire il carburante necessario al funzionamento degli ospedali, e il primo aprile tre bambini tra i quattro e i sei anni sono morti in un incendio causato dall’uso di candele in casa. Come se non bastasse, secondo dati dell’Onu, 80 milioni di litri di scarichi fognari parzialmente trattati finiscono nel Mediterraneo ogni giorno a causa della mancanza di carburante per gli impianti di purificazione.

A Gaza, Hamas è alle prese con crescenti contestazioni per la gestione della crisi. Secondo l’Agenzia France Presse sono state arrestate più di 100 persone con l’accusa di aver attribuito a Hamas la responsabilità della crisi. In questo contesto si fa sempre più remota la prospettiva di una riconciliazione tra le due fazioni palestinesi.

Tutti gli occhi sono puntati sul Cairo, dove è in atto un braccio di ferro tra i Fratelli Musulmani e le autorità militari. Hamas spera che una vittoria dei Fratelli Musulmani possa riavvicinare il Cairo a Gaza. L’Anp, invece, vorrebbe ripristinare la propria influenza su Gaza attraverso un accordo di unità nazionale con Hamas che preveda la nomina di Mahmud Abbas (capo dell’Anp) a presidente e primo ministro di un governo di transizione. 

L’Egitto, da sempre principale mediatore tra le fazioni palestinesi, continua ad adoperarsi per un accordo, pur non nascondendo la delusione per l’atteggiamento intransigente delle autorità di Gaza, che non appaiano interessate ad una reale riconciliazione con Fatah.

Mentre Gaza sprofonda nel buio, non s’intravedono spiragli per uscire da quest’ennesima crisi politica palestinese. 

Andrea Dessì è laureato in storia e politica del Medio Oriente presso la School of Oriental and African Studies di Londra, e ha ottenuto la laurea specialistica in Conflict, Security and Development presso la King’s College London. Collabora con The Heptagon Post, giornale online di politica internazionale, e attualmente è collaboratore presso lo Iai.








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