lunedì 12 agosto 2013

Ada Ascarelli Sereni: storia di una sionista italiana




Ancora negli ultimi mesi della sua vita, quando la incontrai vestita di seta blu a piccoli fiori bianchi nell'albergo per anziani “Nof yerushalaim” fra i mobili italiani con cui aveva sistemato le sue due stanze, Ada Sereni spirava energia e grazia; era dura nei giudizi e dolce nei modi, accurata nel parlare e non dimentica di un aristocratico lieve accento romanesco.

Si sarebbe spenta a 92 anni, nel novembre del 1998; era giunta in Israele nel 1927. La sua è la vicenda di un'eroina prima nascosta e silente all'ombra di Enzo Sereni, suo marito, e poi, dopo la sua tragica morte, di una leader intrepida e avventurosa, un'autentica salvatrice di decine di migliaia di vite e di anime scampate alla Shoah e dirette verso la loro risurrezione in Israele.

Ada Sereni nacque Ascarelli, a Roma, il 20 giugno 1905: la sua era una famiglia ebraica raffinata, colta e benestante. Alla piccola Ada si raccontava del nonno Ariel, che, fornitore di lana del Papa, non aveva mai dovuto sottostare alle restrizioni che serravano gli ebrei di Roma nel ghetto.
Ariel aveva persino una proprietà in via Giulia. La tradizione ebraica era forte anche se laica, il padre di Ada leggeva la Bibbia ai suoi figli e la teneva sempre vicino al suo letto; una volta si era spinto a visitare Gerusalemme arrampicandosi per la strada da Jaffa alla tanto sognata culla degli Ebrei, ma lo stato della città, che anche Stendhal o Mark Twain hanno descritto come rovinoso, lo convinse a non ritentare dal viaggio mai più.

Ada incontrò a scuola il suo grande amore, Enzo Sereni, che era già allora un sionista che mescolava la poesia del sogno del ritorno alla casa antica degli ebrei agli ideali socialisti. Enzo catturò l'anima di Ada e la portò con sé verso gli studi storico filosofici, ma Ada già desiderava imparare cose più pratiche, più effettive: la chimica era la sua materia preferita, e le dette grande soddisfazione, più avanti, poter riprendere gli studi nella direzione da lei prescelta. La coppia si sposò a Roma e presto nacque Hana, la prima figlia.

Enzo Sereni, sionista e partigiano della Brigata Ebraica

Nel luglio 1927, con la bambina piccolissima, Enzo e Anna cominciarono un'avventura entusiasmante e terribile, quella del ritorno in Israele, la cui ricostruzione doveva passare attraverso un'autentica mutazione antropologica che prevedeva il farsi contadino e operaio da una parte, e intellettuale e studioso dall'altra, secondo la tradizionale visione dell'idealismo marxista. Nel congresso sionista di Livorno Enzo aveva detto: «Non ci sarà riscatto per il nostro popolo sino a quando saremo noi stessi a tornare a Eretz Israel per costruirla anche manualmente; il nostro popolo non avrà diritto alla pace fra gli altri popoli finché non si sarà creata una normale struttura proletaria e contadina».

Enzo era sostenuto da una famiglia sionista e antifascista (anche il fratello Emilio che poi diventò un dirigente del Pci a quel tempo lo era); Ada costruiva da sola, nell'amore, nell'abnegazione personale, la sua nuova inusitata identità. Così, sistemati nel paesino di Rehovot, Ada passò il periodo più difficile della sua vita: Enzo andava nel “pardes”, il campo orlato di palme e eucalipti a piantare, irrigare, potare aranci; e lei restava in una casa senza acqua corrente, con la toilette fuori di casa, la bambina piccola. La decisione di passare a vivere in un kibbutz «dove almeno ci saranno i giardini» fu di Ada. Così la famiglia Sereni fondò con un piccolo gruppo di compagni il kibbutz Givat Brenner.

Ai genitori che non avrebbero mai capito in che cosa consisteva la nuova durissima esperienza collettiva, Ada scrisse che avevano comprato una bella fattoria: ma i compagni, i «haverim» dormivano e vivevano sotto le tende, salvo i bambini (nacque nel frattempo anche un'altra piccola Sereni, Hagar) cui i genitori costruirono una capanna col pavimento di terra battuta. «La gioia era stata grande per tutti – raccontava Ada parlando del passaggio al suo kibbutz, Givat Brenner – per l'arabo che aveva venduto un pezzo di terra arida e incolta per l'e norme somma di diecimila sterline [...] per noi 28 giovani pieni di sogni e di entusiasmo per la nuova società che avremmo creata e voluta giusta, lontano dalla ricchezza che corrompe, a contatto con la natura».

Il kibbutz Givat Brenner con le tende e gli alloggi per i bambini in costruzione, 1934 circa

La vita fu durissima anche se la coppia fioriva di idealismo e capacità personali: Ada divenne direttrice della fabbrica Rimon (Melograna) di succhi e conserve; la fama di Enzo si diffuse, egli divenne un leader del movimento kibbutzistico e socialista famoso in tutto l'Yishuv da cui sarebbe nata Israele. Nel kibbutz Givat Brenner presto vi fu una biblioteca, e i rapporti con i villaggi arabi erano in origine di lavoro e di pace. Ma nel 1929 il kibbutz diventò invece, sovente attaccato concentricamente da un rifiuto arabo che si faceva sempre più aspro, un luogo assediato e pericoloso.

Enzo e Ada resistettero insieme agli altri alla vita tanto difficile, mentre nel ‘31 nasceva il terzo figlio, Daniel, che tragicamente sarebbe stato falciato a una parata aerea nel 1954; nel 1933 Enzo fu scelto come inviato (shaliach) del suo movimento socialista proprio nella Germania del potere hitleriano aperta sorto.
Più tardi, la famiglia fu spostata a New York, dove Ada divenne la organizzatrice di una autentica comune di educatori (tutti accompagnati dalla famiglie, tutti nella stessa grande casa) di giovani pionieri. Ordine, garbo, fantasia e puntiglio, anche talvolta in polemica con il temperamento nervoso e appassionato del marito, così tutti ricordano le caratteristiche di Ada.

Nel 1938, dopo le Leggi Razziali, al kibbutz giunse un gruppo di ebrei dall'Italia. Il fiato dell'Olocausto si faceva affannoso su Israele, la tragedia cominciava ad essere nota. Nel 1944 si formò la Brigata Ebraica che combatté in Europa comandata da ufficiali ebrei.

L'Hagana e il Palmach, le due formazioni militari dell'Yishuv, decisero di lanciare alcuni uomini dietro le linee tedesche per prendere contatto con gli ebrei e incitarli a combattere. Enzo Sereni, la cui fama di uomo indispensabile, integro, coraggioso, era ormai un dato di fatto, si offrì di paracadutarsi. Già erano cadute fucilate dai nazisti dopo essersi infiltrate in Europa due giovanissime e oggi mitiche figure, Anna Senesh e Aviva Reich.

Ada ricorda che «quella fu forse l'unica volta in cui dissi a Enzo di non perseguire una sua scelta. Fu irremovibile». Si lanciò sotto mentite spoglie («Samuel Barda») in divisa inglese nella notte fra il 14 e il 15 maggio del 1944 e se ne conosce la tragica sorte da qual che testimonianza personale e alcune carte: catturato, fu portato come prigioniero a Dachau, e poi fu fucilato.

Quando il suo adorato sparisce nel nulla, Ada si arma, oltre che della consueta energia, di un solitario e leonino senso di avventura, lascia tutto e parte alla ricerca di Enzo, convinta che l'incredibile forza della personalità del marito debba aver lasciato tracce indelebili in chiunque abbia avuto la ventura di incontrarlo. E di fatto, troverà sulla sua strada molti prigionieri dei tedeschi scampati che raccontano di un gentiluomo italiano venuto dalla Palestina che fino all'ultimo aveva donato il suo cibo e la sua sapienza con generosità a quanti incontrava.

Ada in Italia viene incaricata, come condizione per proseguire la sua permanenza lontano dal kibbutz, di una sua missione personale: organizzare l'immigrazione clandestina verso le spiagge della Palestina per l'Agenzia Ebraica, in barba alla leggi britanniche che proibiscono agli ebrei di immigrare, secondo il Libro Bianco concepito dall'Inghilterra per sedare lo scontento arabo.

Sono leggi che si dimostrano crudeli oltre misura, dato che gli ebrei che erano riusciti a sopravvivere ai campi di sterminio non avevano altro obiettivo al mondo che quello di approdare a una casa che fosse la loro per sempre, da cui nessuno potesse deportarli per bruciarli vivi. Gli inglesi abbordavano e bloccavano le navi cariche di migliaia di scampati ad Auschwitz, compresi vecchi e bambini, spesso in pessime condizioni di salute, prima che toccassero Haifa o Jaffa, e respingevano gli ebrei verso l'Europa; ci furono affondamenti, morti, feriti, decine di episodi tragici insanguinarono le acque del Mediterraneo.




È famosa la vicenda dell'Exodus, (da cui il famoso film con Paul Newman e Eva Marie Saint in cui Ada è rappresentata) in cui la nave, carica fino allo stremo, fu respinta due volte: ripartita dalla Francia (proveniva dagli Usa) solo grazie a un lungo sciopero della fame fu al suo arrivo in Israele rispedita in alto mare con un autentico assalto militare britannico, con i suoi 4.500 profughi. Il compito di Ada, era innanzitutto acquistare clandestinamente le navi, che variavano dai pescherecci a grandi battelli che potessero contenere, stipati, migliaia di passeggeri; organizzare l'afflusso dei profughi e curare che esse potessero salpare, in genere nottetempo, cariche del necessario (leggi la storia dei ragazzi di Salvino).

Ada fu di un'abilità e di un'energia eroica, finì anche in carcere, percorse la penisola con mezzi di fortuna e di nascosto incontrando mediatori marittimi, capi del Mossad e dell'immigrazione, soffrì con i profughi attese, rinunce, delusioni, gioì di immense vittorie morali, riuscì a risolvere con le autorità italiane situazioni che apparivano irrisolvibili, e trovò, come racconta nel suo libro I clandestini del mare edito da Mursia, una sostanziale simpatia per gli scampati da Auschwitz.

A La Spezia nel febbraio del ‘46 la nave Fede fu prima fermata dai carabinieri in assetto di guerra cui erano state fornite false informazioni sui passeggeri a scopo di boicottaggio. Quando, scesi dalla nave con l'intervento di Ada i mille passeggeri mostrarono tutti quanti il numero tatuato sul braccio sotto le armi puntate, i carabinieri italiani girarono le armi per eventualmente difendere la nave da attacchi di male intenzionati, e lasciarla partire.

Nel ‘47 Ada decise di restare ancora in Italia come capo dell'organizzazione per l'assistenza che seguitava ad avviare i profughi in Israele. Si calcola che ne abbia messi sulle sue navi circa 28mila. Più avanti, tornata in Israele, le sue attività di aiuto alla popolazione civile, e in particolare a quella palestinese di Gaza dove per incarico del governo cercò di organizzare servizi dopo il 1967, non si fermarono mai. Ma il suo compito e il significato che Ada stessa gli attribuiva si compendiano nella conclusione del suo libro: «Dalla partenza del piccolo Dallin (una imbarcazione ndr.), nell'agosto del 1945 al maggio del 1948, circa 75mila persone erano partite illegalmente dall'Europa e circa 25mila dall'Italia. La notte del 14 maggio (1948 ndr.) partì dal «campo climatico» di Formia l'ultima nave di quella flotta senza bandiera che per tre anni aveva solcato le acque del Mediterraneo.

Partì nel modo consueto, ma i libri di bordo non vennero nascosti, né venne cambiato il nome della nave, perché in quel medesimo giorno un'assemblea memorabile di leader israeliani aveva proclamato la ricostituzione dello Stato d'Israele». Certo Ada, come mi disse durante il nostro incontro, si struggeva nel pensare alla gioia che questo epocale evento avrebbe dato anche ad Enzo.

Fiamma Nirenstein



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