giovedì 2 agosto 2018

Rifiutare il concetto di "territori occupati" per avvicinare la pace?





World Israel News
Titolo originale: US Rejection of Term ‘Occupied Territories’ Brings Peace Closer

26 aprile 2018
di Daniel Krygier


Per la prima volta dal 1979, un documento ufficiale del Dipartimento di Stato USA ha rimosso la dicitura "occupati" con riferimento a Giudea e Samaria. Preso a sé, questo dato può apparire irrilevante. In realtà, è il riflesso di una nuova politica per il Medio Oriente, che agevolerà il conseguimento di una pace fra arabi e israeliani.
Sin da quando gli stati arabi fallirono l'impresa di distruggere Israele nell'ambito della Guerra dei Sei Giorni nel 1967, la comunità internazionale ha inquadrato il conflitto in termini di «Occupazione israeliana della Palestina». Tuttavia, l'espressione «Territori palestinesi occupati» è di natura esclusivamente politica e non legale o storica. «Palestina» è il termine assegnato dai romani alla Giudea occupata, e mai alcuno "stato di Palestina" è esistito in Terra di Israele.
Nel suo monumentale lavoro "I presupposti giuridici e i confini di Israele nell'ambito del diritto internazionale", Howard Grief ha argomentato che il titolo legale che assegna la Terra di Israele al popolo ebraico, è previsto dalle dichiarazioni della comunità internazionale in seno alla Conferenza di Sanremo del 1920.

Le implicazioni di questo riconoscimento sono che le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono legittime dal punto di vista del diritto internazionale, anche se respinte regolarmente da un Palazzo di Vetro parziale e politicizzato e dall'Unione Europea in quanto tale. A differenza della ex Algeria occupata dai francesi, Giudea e Samaria costituiscono le radici ancestrali di Israele. Israele ha ottenuto questi territori in seguito ad una guerra difensiva, dopo essere stato attaccato dagli stati arabi confinanti. Dal momento che la "Palestina" non esiste, Giudea e Samaria dovrebbero essere definiti tutt'al più territori "contesi", e non occupati. Ciò implica che Israele ha pieni diritti in Giudea e Samaria.
Ciò non implica che Israele si arroghi il diritto di annettere gli interi territori in discussione. Non è neanche nell'interesse dello stato ebraico, aggiungere 2 milioni di arabi alla sua popolazione. Tuttavia, un futuro accordo definitivo di pace fra arabi e israeliani potrebbe prevedere l'annessione delle aree a maggioranza ebraica più popolate di Giudea e Samaria. Dopotutto, ciò rispetta lo spirito e la lettera della Risoluzione ONU 242, che contempla la possibilità che Gerusalemme trattenga parte dei territori contesi.

E questo ci riporta alla voluta omissione del termine "occupati" da parte di una recente nota della Diplomazia USA, con riferimento a Giudea e Samaria. È un dato politicamente rilevante, perché il fulcro del conflitto non è mai stata la presunta occupazione, quanto l'opposizione della comunità araba e musulmana alla rinascita dello Stato di Israele, a prescindere dai confini e dalla capitale. Sono stati gli arabi, e non certo gli ebrei, a respingere sistematicamente ogni accordi di pace che contemplasse due stati distinti, a partire dalle raccomandazioni britanniche elaborate nel 1937 dalla Commissione Peel.

Israele non occupa alcunché. Né è stato rifondato per offrire un rifugio alle genti scampate all'Olocausto, come recentemente affermato dalla star di Hollywood Natalie Portman.
I confini definitivi di Israele devono essere ancora definiti. Tuttavia, ciò che appare indiscutibile è che l'Israele moderno è la realizzazione storica e legale del diritto del popolo ebraico a vivere nella propria Terra.
Il percorso verso una pace duratura ed effettiva non può prescindere da questa realtà inoppugnabile.

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