martedì 27 gennaio 2015

Quali origini per il "popolo palestinese"?

Riproponiamo un ottimo articolo di Y. K. Cherson, tradotto in italiano da Il Borghesino, in cui si percorrono le tappe della storia di Israele, alla ricerca di attestazioni storiche dell'esistenza del popolo palestinese a fianco di quello ebraico. 





Palestinesi: un popolo inventato

di Y.K. Cherson
9 gennaio 2014
titolo originale:
 
PALESTINIANS: THE INVENTED PEOPLE

«La storia del popolo palestinese risale fino al...». A questo punto gli storici arabi non trovano l'accordo: alcuni sostengono che il "popolo palestinese" vanta 4.000 anni di storia; altri si spingono fino a 10.000 anni, c'è chi parla di 30.000 anni e non manca chi spara addirittura 100.000 anni di storia: il che renderebbe l'uomo di Neanderthals piuttosto giovanile a confronto dell'"uomo palestinese". Ma sebbene gli storici arabi non concordino sulla data di nascita del palestinese, su un aspetto sono unanimi: è comparso sulla Terra molto prima degli ebrei, dei romani o dei greci. 
C'è solo un problema: di tutta questa millenaria storia, non si trova alcuna traccia.

Nel 721 a.C., gli assiri conquistarono il Regno di Israele. È un fatto storico accertato che nessuno contesta. Magari il glorioso "popolo palestinese" avrà combattuto eroicamente contro l'aggressore, cagionando pesanti perdite? Non proprio: non c'è una sola testimonianza che sia una, che fa menzione di questo popolo. Può essere che centinaia di migliaia di "palestinesi" abbiano combattuto eroicamente contro gli assiri, senza che questi se ne siano accorti? Allo stesso tempo, però, i resoconti storici riportano diffusamente le battaglie contro gli israeliani. Insomma gli assiri notarono benissimo gli israeliani, ma non scorsero nemmeno un "palestinese".
Perché gli assiri non si imbatterono in nemmeno un palestinese? Forse perché il re Sargon II era sionista. 

E che dire dei babilonesi? lo stesso mistero ci attende quando iniziamo a leggere i resoconti babilonesi circa la conquista del Regno di Giudea, avvenuta fra il 597 e il 582 a.C. Gli ebrei si scorgono in ogni pagina. E i palestinesi? niente, nemmeno una citazione isolata. Neanche i babilonesi si sono imbattuti in essi.

Ma di sicuro i persiani li hanno scovati, lasciandoci una dettagliata descrizione di questo meraviglioso popolo, della sua sterminata cultura, delle sue abitudini, della lingua parlata. Macché: anche loro ci hanno deluso. I resoconti storici ci parlano degli ebrei, di come Ciro concesse loro il diritto di tornare a Gerusalemme, dei satrapi persiani che comandarono in Giudea e Israele. Ma dei palestinesi, ancora una volta nessuna parola.

Ma ciò che rende spassosa questa ricerca è la circostanza che lo stesso Alessandro il Grande percorse tutta la costa della Palestina da Tiro a Gaza nel 332, senza imbattersi mai in nemmeno un palestinese: soltanto ebrei. Dove diavolo si nascondevano i palestinesi?
Certo: stiamo parlando di assiri, babilonesi, persiani; gente vissuta tanto tempo fa. Ma che dire dei romani, che pur erano così zelanti nella conservazione della memoria? la storia non cambia.

I romani spiegano con dovizia di particolari come assediarono Gerusalemme, informandoci scrupolosamente di come gli ebrei tentarono disperatamente di respingerne l'assalto. Descrivono le rivolte degli ebrei e come esse furono soffocate, indugiando in dettagli su come gli ebrei si difesero a Masada, su come i romani divisero la Giudea, ribattezzandola in "Palestina", su come rinominarono Gerusalemme "Aelia Capitolina". Ci raccontano un sacco di cose; ma non menzionano nemmeno una volta i "palestinesi". E peraltro, sebbene ribattezzarono quelle terre "Palestina", continuarono a chiamare i suoi abitanti come da migliaia di anni si soleva fare: ebrei. 
La Palestina divenne il nome ufficiale di quella terra, ma i suoi abitanti continuarono a chiamarsi "ebrei".

Un momento! è dov'era il "popolo palestinese" quando arrivarono gli arabi? è una domanda da un milione di dollari. Gli arabi moderni si autodefiniscono "palestinesi"; come si definivano gli arabi del VII secolo, quelli che conquistarono la Palestina? Qualcuno per caso è a conoscenza di un documento, che sia uno, scritto dai dominanti arabi in Palestina, che esprimesse un concetto anche vagamente vicino a quello di "palestinesi"? niente da fare, nessuna menzione...

La situazione diventa davvero divertente. Gli arabi oggi si scaldano quando narrano di loro avi che hanno vissuto in Palestina da "tempi immemorabili", ma i loro avi non hanno alcuna idea di questo glorioso e antico passato. Ma dopotutto, la dominazione araba in Palestina non è durata così tanto. 
Soltanto 300 anni dopo la loro conquista giunsero i turchi - prima di mamelucchi, poi gli ottomani - a spodestarli. Essi comandarono in Palestina per sei secoli: forse questa volta a sufficienza per rinvenire un gruppo etnico folto e glorioso come quello del "popolo palestinese". Questa volta avremo migliore fortuna?
Macché! le statistiche ufficiali dei turchi censirono ebrei, arabi, circassi in Palestina, e fornirono dati dettagliati sui musulmani, sui cristiani e sugli ebrei; ma neanche una volta menzionarono alcun "popolo palestinese".

Dunque assiri, babilonesi, greci, romani, persiani e arabi; mai hanno menzionato, neppure di sfuggita, il "popolo palestinese". I turchi, in 600 anni di occupazione della Palestina, non hanno mai trovato traccia di palestinesi. 

E dove mai si nascondeva questo antico e incredibilmente eroico popolo dopo il 1917? le diverse commissioni della Lega delle Nazioni (progenitrice delle Nazioni Unite) non ne hanno mai trovato traccia; tutti i documenti della Lega delle Nazioni di quel periodo citano soltanto ebrei e arabi, ma mai una volta si cita il palestinese come popolo. 
Magari a parlare di "popolo palestinese" all'epoca erano i politici occidentali? neanche a dirlo: i delegati di undici diverse nazioni visitarono quei luoghi e trovarono una realtà attesa. Vale a dire, due gruppi in conflitto, arabi ed ebrei, le cui aspirazioni nazionali non potevano essere conciliate. «Palestinesi? e chi sono?...».

Ma forse i politici arabi... Macché. I politici degli stati arabi erano netti su questo argomento: «consideriamo la Palestina parte della Siria araba, dalla quale non si è mai distaccato in alcun momento. Siamo connessi ad essa da legami nazionali, religiosi, linguistici, naturali, economici e geografici» (I Congresso dell'Associazione cristiano-musulmana, febbraio 1919).

Il rappresentante dell'Alto Comitato arabo presso le Nazioni Unite sottopose all'Assemblea Generale dell'ONU a maggio 1947 la seguente affermazione: «la Palestina è parte della provincia siriana», e «politicamente, gli arabi di Palestina non sono indipendenti, nel senso di formare un'entità politica separata».

Nel 1937 un leader arabo locale, Auni Bey Abdul-Hadi, riferì alla Commissione Peel, che in ultima analisi suggerì la partizione della Palestina: «non esiste alcuno stato chiamato Palestina! la "Palestina" è un termine inventato dai sionisti! non esiste alcuna Palestina nella Bibbia. Per secoli la nostra patria è stata la Siria»
E ancora:
«Palestina e Transgiordania sono una cosa sola» (Re Abdullah, riunione della Lega Araba al Cairo, 12 aprile 1948). Per cui gli arabi negli anni Quaranta non hanno mai fatto menzione dei cosiddetti "palestinesi"; ne' tantomeno scorsero mai una "Palestina". Ma da questo punto di vista c'è da dire perlomeno che fossero in buona compagnia...

Chissà che mai abbiano trovato questo misterioso "popolo palestinese" più avanti?... niente da fare. Il presidente siriano Hafez Assad, nel rivolgersi al leader dell'OLP - nonché "padre del popolo palestinese" - Yasser Arafat, così spiegava: «Non rappresenti la Palestina più di quanto facciamo noi. Non dimenticare questo punto: non esiste alcun popolo palestinese, non c'è nessuna entità palestinese; c'è solo la Siria. Siete parte integrante del popolo siriano, e la Palestina è parte della Siria. Siamo noi i veri rappresentanti del popolo palestinese». Naturalmente, il leader dei palestinesi respinse sdegnatamente al mittente queste insinuazioni...?
No, purtroppo stavamo scherzando: non lo fece.

Lo stesso Yasser Arafat specificò meglio il suo pensiero con una dichiarazione che ne confermava il pensiero nel 1993: «La questione dei confini non ci interessa. Da una prospettiva araba, non dobbiamo parlare di confini. La Palestina non è che una goccia nell'oceano. La nostra nazione è la Nazione Araba, che si allunga dall'Oceano Atlantico al Mar Rosso e oltre. L'OLP combatte Israele in nome del panarabismo. Quella che si chiama "Giordania in realtà non è altro che la Palestina».

Non molto tempo fa Azmi Bishara, ex deputato della Knesset espulso da Israele per aver passato informazioni riservate ad Hezbollah durante la II Guerra del Libano, e che si può definire tutt'altro che amichevole nei confronti di Israele; affermò la stessa convinzione: «il popolo palestinese non esiste»

«La verità è che la Giordania è Palestina, e la Palestina è la Giordania», sentenziò Re Hussein di Giordania nel 1981. Abdul Hamid Sharif, primo ministro della Giordania, dichiarò l'anno precedente: «palestinesi e giordani non hanno differenti nazionalità: entrambi hanno lo stesso passaporto, sono arabi e vantano la stessa cultura giordana».



Ma gli arabi, che ci assicurano di vivere in Palestina da tempi immemorabili, non consentono ovviamente a siriani e giordani di privarli del passato di cui vanno fieri. Credete? in realtà lo permettono eccome. E hanno seri motivi per farlo.
Lo sapevate che fino al 1950, il Jerusalem Post si chiamava Palestine Post?
che il giornale dell'Organizzazione Sionista negli Stati Uniti era il New Palestine?
che il nome originario della Bank Leumi era Anglo-Palestine Bank?
che il vecchio nome della compagnia elettrica israeliana era Palestine Electric Company?
che una volta esistevano la Palestine Foundation Fund e la Filarmonica di Palestina?
ed erano tutte organizzazioni ebraiche, fondate e gestite da ebrei!
In America, l'inno dei giovani sionisti recitava "Palestina, oh mia Palestina".

Fino alla fine degli anni Sessanta, chiamare un arabo "palestinese" corrispondeva a muovergli offesa, perché in questo modo erano etichettati in tutto il mondo gli ebrei. Tutti sapevano che Palestina era un modo alternativo per definire Israele e la Giudea, così come ad esempio Kemet era l'antico nome d'Egitto. Gli arabi che vivevano in Palestina si identificavano come arabi, e provavano irritazione se qualcuno li appellava come "palestinesi": «non siamo ebrei, siamo arabi», erano soliti replicare.

Libretto della stagione concertistica 1936/37
con la firma di Arturo Toscanini e 
Bronislaw Huberman 

In conclusione.
C'è uno stato in Estremo Oriente. Chi vi abita - e ci abitano da diversi decenni - definisce questo stato enfaticamente "la Terra del Sol Levante". Ad un certo punto viaggiatori occidentali e geografi battezzarono questo stato con un altro nome. Perché? forse perché non avevano inclinazione poetica, o forse lo visitarono al tramonto, o forse non erano in grado di pronunciare il nome in lingua originale. 
Ma la gente che qui abita ha forse ribattezzato il proprio stato con altro nome perché altri hanno deciso così? certo che no: sono la stessa gente e continuano a chiamare il loro paese "La Terra del Sol Levante"; anche se in Occidente è abituale chiamarlo Giappone.


E c'è un Paese in Medio Oriente. La gente che vi abita da secoli lo chiama "Eretz Israel", la Terra di Israele. Poi ad un certo punto sono giunti gli occidentali e le hanno dato un altro nome. Il popolo che lì ha sempre abitato è cambiato? no di certo! si tratta della stessa gente, che continuerà a chiamare quella terra "La Terra di Israele"; anche se in Occidente si continua impropriamente a parlare di Palestina.


Toscanini, fervente antifascista, dirige il primo concerto della "Palestine Orchestra"
Tel Aviv, 26/12/1936


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N.B. Questo ottimo articolo offre molti spunti di riflessione, ma la storia è molto più ricca di testimonianze di quanto si possa sospettare. A chi desiderasse approfondire con ulteriori letture dal nostro blog consigliamo ad esempio:





lunedì 26 gennaio 2015

Rapporto UNICEF sui bambini palestinesi: accuse false e strumentali

Ripubblichiamo un interessante articolo del 2013 in merito ad uno dei tanti rapporti ONU sulle presunte violazioni dei diritti umani da parte israeliana. Ne avrete sentito parlare anche voi dei 7.000 "bambini palestinesi" illegalmente incarcerati in Israele. Possiamo fidarci ciecamente dei rapporti che producono le agenzie dell'ONU?
Vediamo...



Un ragazzino palestinese viene fermato da due militari israeliani
durante una protesta (AFP Photo / Hazem Bader)


Rapporto UNICEF sui bambini palestinesi: accuse false e strumentali 

di Noemi Cabitza 
Rights Reporter, 11 marzo 2013

Ci risiamo. Ancora una agenzia ONU che per meri interessi economici usa il paravento dei bambini palestinesi e pubblica un rapporto basato letteralmente sul nulla, fatto di illazioni, di testimonianze non verificabili e stravolge completamente il concetto di "difesa dell'infanzia" assolvendo completamente i genitori dei bambini (i veri responsabili delle azioni dei minori) mentre punta sul lato che, in termini economici, è più remunerativo: Israele. 

Questa volta è il momento dell'UNICEF che, non paga dei milioni di dollari che ogni anno spreca in assurdi quanto improbabili progetti di difesa dell'infanzia palestinese (dove per altro si insegna l'odio verso Israele), con il concreto timore di un taglio consistente dei fondi, prova la carte dello shock e si inventa di sana pianta un rapporto unilaterale basato sul nulla e su testimonianze non verificabili da nessuno. La tecnica non è nuova, ma a tutto c'è un limite. 

   Andando con ordine, lo scorso 6 marzo l'UNICEF emette un rapporto intitolato "Children in israeli Military detention", sottotitolo: "Observation and Recommendations". Nel rapporto si racconta che ogni giorno almeno due minori palestinesi vengono arrestati dagli israeliani. Negli ultimi dieci anni sarebbero stati 7.000. Si racconta poi che i minori vengono prelevati nella notte, trasportati in luoghi lontani con un viaggio che dura anche 24 ore durante il quale vengono bendati e legati, privati dei servizi sanitari ecc. ecc. A parte la sciocchezza del viaggio che dura 24 ore (cosa fanno, li fanno girare in tondo? In 24 ore Israele si attraversa completamente almeno quattro volte), quello che appare più assurdo è il sistema descritto, palesemente volto a descrivere la figura del militare israeliano come una sorta di mostro (arriva nella notte, ti lega, ti benda e ti porta via), quando invece è risaputo che i militari israeliani e la polizia agiscono alla luce del sole e in pieno giorno (e i media ne sanno qualcosa dato che, chissà come mai, sono sempre pronti a riprendere gli arresti). 

   L'UNICEF addirittura scrive che il maltrattamento al minore inizia quando "il suo sonno tranquillo viene brutalmente interrotto dall'irruzione in casa dei militari" i quali urlano, spaccano mobili, fanno domande e chiedono spiegazioni. A parte l'assurdità della descrizione, secondo l'UNICEF una irruzione in casa di sospetti andrebbe fatta con delicatezza, suonare il campanello, chiedere il permesso di entrare, magari offrire una sigaretta. Ma il bello viene dopo. L'UNICEF scrive infatti che «il minore viene prelevato con la forza, senza spiegazioni né la possibilità di salutare o parlare con i familiari, ma con frasi vaghe come «è ricercato» oppure «lo riporteremo più tardi». Da lì comincia il viaggio verso i centri di detenzione". Anche in questo caso si tenta palesemente e smaccatamente di descrivere i militari israeliani come degli aguzzini senza pietà (il poverino non può salutare i genitori), senza una base legale (non dicono perché lo portano via) e bugiardi (lo riportiamo dopo). 


L'immagine che accompagna il rapporto UNICEF

   La realtà dei fatti è ben diversa da quella che viene descritta dall'UNICEF. Prima di tutto parliamo di ragazzi di 16/17/18 anni, non di bambini, ragazzi che si sono macchiati di atti di violenza contro civili e militari israeliani. Tirare un sasso contro una macchina o contro una persona non è un atto goliardico, è un reato che può portare a gravissimi danni. La stampa occidentale sorvola sul numero di incidenti e relativi feriti (altissimo) che si verifica a causa del lancio di sassi. Insomma, si tende a decontestualizzare il contesto facendo passare l'idea che poi, in fondo, lanciare una pietra di qualche Kg contro una persona o una macchina non sia poi così grave. 

Ma quello che soprattutto l'UNICEF non fa, in palese contrasto con la sua "mission", è sorvolare bellamente sul problema reale che sta alla base di queste violenze: i genitori. Se un ragazzo cresce in una famiglia in cui gli viene insegnato che l'unico ebreo buono è l'ebreo morto, la colpa non è del ragazzo, è dei genitori. Se nei campi estivi (parecchi gestiti proprio dall'UNICEF) ai bambini viene insegnato che Israele non esiste e che gli ebrei vanno gettati a mare, la colpa non è dei bambini se crescono con quella mentalità, è degli "educatori". In qualsiasi altra parte del mondo se un minore tira una pietra contro qualcosa o qualcuno provocando danni e feriti, prima viene arrestato (anche se minore) poi i suoi genitori vengono inquisiti per omessa sorveglianza o, nel peggiore dei casi, per istigazione nel caso in cui il gesto del minore sia riconducibile all'insegnamento dei genitori. Questo con i palestinesi non avviene mai. 


I campi estivi di Hamas. 
Migliaia di palestinesi tra 6 e 15 anni parteciperanno ad attività di stampo militare
Fonte: La Stampa 


   In questo l'UNICEF ha grosse responsabilità, prima di tutto perché tollera che ai ragazzi palestinesi venga inculcato l'odio sin da piccoli (cos'è questa se non una violazione dei Diritti dei bambini?) poi perché non affronta il problema alla base, cioè quello dell'educazione alla pace. 

   Insomma, siamo di fronte all'ennesimo rapporto spazzatura che guarda caso esce proprio quando si fanno sempre più insistenti le voci di tagli al budget dell'UNICEF in Cisgiordania, tagli che derivano proprio dalla gestione semi-terroristica dell'educazione infantile. 

   E' vero, alcuni minori che si sono resi colpevoli di gravi atti di violenza sono detenuti in carceri israeliani (istituti di pena per minori) così come avviene in ogni parte del mondo. Ma non ci sono torture, rapimenti nella notte o cose del genere, anzi, nella maggioranza dei casi i minori vengono curati e istruiti, cosa che a casa loro non avviene. L'UNICEF, se facesse veramente il suo lavoro, dovrebbe preoccuparsi di come i genitori arabi educano i minori e del fatto che i cosiddetti "palestinesi" inculcano nei loro bambini l'idea del martire (lo shaid) invece che quella della pace e della convivenza. Ma su questo non vedremo mai una sola parola, semplicemente perché non rende. 


I bambini palestinesi spesso vengono spinti dai genitori ad inscenare dei tafferugli con i militari
a favore di videocamera e macchina fotografica. Guarda il video.


   Per finire alcuni dati: i minori attualmente detenuti in istituti di pena israeliani sono 174, di questi oltre l'80% hanno più di 16 anni e scontano una pena che va da sei a otto mesi. Non ci sono detenuti minori di 16 anni. Le istituzioni internazionali li possono visitare ogni volta che vogliono, anche senza preavviso. La Croce Rossa Internazionale li visita TUTTI almeno una volta ogni due settimane. Dove sta la tortura o la detenzione illegale in tutto questo?