venerdì 9 agosto 2013

Prestami il tuo braccio!



4 Aprile 2013
Quando la mistificazione non si fa scrupolo di utilizzare morti per attizzare l’odio. Oggi il web è stato inondato da una foto spacciata come quella di Abu Maysara Hamdiya, un prigioniero palestinese, morto questa settimana in un carcere israeliano, la morte del quale è stata presa a pretesto per scatenare una nuova ondata di violenze nella West Bank.
Hamdiya soffriva di cancro, e l’accusa è che egli non abbia ricevuto le cure mediche di cui aveva bisogno. La foto lo mostra ammanettato a un letto di ospedale e insinua che gli fossero stati inflitti trattamenti crudeli, inumani durante la sua pena detentiva.
Il volto del sessantacinquenne prigioniero Abu Maysara Hamdiya,
sovrapposto ad un braccio ammanettato decisamente più giovane


Il portavoce israeliano del Prison Service, Sivan Weizman, ha spiegato che  erano state prese tutte le precauzioni necessarie per la salute di Abu Hamdiya, tra le quali il trasferimento in un carcere più vicino a strutture ospedaliere. Ricordiamo che Hamdiya in effetti è morto nell’ospedale di Bersheeva e non in carcere. Hamdiyah scontava l’ergastolo per omicidio, appartenenza a Hamas e possesso di armi.  Nella didascalia alla foto sopra si legge: ”prigioniero, comandante e jihadista”, insieme a una foto di Abu Maysara Hamdiya. L’immagine implica che Abu Hamdiya fosse ammanettato ad un letto d’ospedale.



 In realtà, il braccio nella foto sopra è una porzione ritagliata di una foto scattata in Siria, di un ribelle in ospedale. La foto è stata originariamente pubblicata l’8 dicembre 2012.



Lady Ashton, Israele e il suo lievissimo conflitto di interessi...




Nonostante il nome ammiccante, non si tratta dell'ultima trovata dell'ufficio marketing e comunicazione del PD, ma parliamo invece una rinomata agenzia internazionale: YouGov. 
Cosa c'entra una società di analisi di mercato con il Ministro degli Esteri europeo? Qualche tempo fa avevamo ripercorso in una nostra ricerca la curiosa carriera di Lady Ashton, figura di primo spicco sullo scacchiere internazionale per lo spostamento di somme astronomiche a favore delle Autorità Palestinesi. Di questa donna venuta dal nulla e dalle assai dubbie abilità, una cenerentola diventata nel giro di pochi anni la donna più pagata d'Europa, ci chiedevamo "chi sarà mai il suo principe azzurro"?


Finalmente la risposta arriva da Rights Monitoring, ecco l'articolo:


La chiave per la comprensione sta in due nomi: Peter Kellner e YouGov. Il primo nome è quello del marito di Catherine Ashton e il secondo è quello della società di indagini internazionali, analisi di mercato e servizi di ricerca per i governi, della quale Peter Kellner è presidente. YouGov è diventato così importante nel settore, da arrivare a influenzare addirittura le scelte di alcuni governi, l’economia di molti paesi e anche le tendenze del mercato. Un sondaggio di YouGov è preso in grande considerazione dalla politica, che non esita a commissionare al gruppo sondaggi di ogni genere. 

Ora, accade spesso che, stranamente, le indagini condotte da YouGov per il Medio Oriente penalizzino Israele mentre sembrano particolarmente benevole verso le monarchie del Golfo e l’Arabia Saudita.  Solo negli ultimi mesi YouGov ha avviato una serie di indagini di mercato sul boicottaggio dei prodotti israeliani e sul gradimento degli artisti israeliani presso il pubblico inglese, per comprendere se possano o meno esibirsi nel Regno Unito. Ma gli editoriali anti-israeliani al vetriolo di Peter Kellner (e non solo su YouGov, ma anche in prestigiose pubblicazioni internazionali) non contano.

Perché questo? Perché una società internazionale che guadagna milioni di dollari l’anno e può influenzare le politiche dei vari governi è così palesemente rivolta contro Israele? Anche qui, la soluzione si trova tra le righe, in particolare quelle relative agli azionisti della società. E’ stato molto difficile ottenere informazioni sui partner YouGov perché la lista non è pubblica. Tuttavia, alcune informazioni indicative siamo in grado di darle. Così scopriamo che tra i membri di YouGov ci sono diversi emiri del Golfo, qualche sceicco arabo e che l’azienda ha un ufficio molto importante a Dubai (presso il Centro Affari Cayan) da dove dirige tutte le ricerche sul Medio Oriente. Altre sedi sono in Arabia Saudita a Dammam, Jeddah e Riyadh. La cosa in sé non sarebbe sospetta, molte aziende internazionali hanno uffici a Dubai, solo che oltre alla presenza dei capitali di emiri e sceicchi (tra i quali l’emiro del Qatar), le ricerche e le indagini sui regni di questi ultimi sono sempre molto “rilassate”, e in pochi anni hanno favorito grandi investimenti internazionali.

YouGov poi usa la sua influenza e la sua presunta credibilità per aiutare le monarchie del Golfo che, tradotto in cifre gigantesche, significa decine e decine di milioni di dollari che finiscono nelle sue casse. 

E chi è il nemico giurato delle monarchie del Golfo, a partire dall’emiro del Qatar, che finanzia il manipolo di Hamas? Israele. Chiaro che una società come YouGov, nella quale la partecipazione è costituita in parte da emiri e sceicchi, e che ottiene decine di milioni di dollari l’anno, possa suggerire una serie di domande che riescono a minare l’economia israeliana e anche a promuovere, in un sottile e intelligente gioco, il boicottaggio dei suoi prodotti. 

Bene, ora per tornare a Catherine Ashton, come può la baronessa inglese, rappresentante della politica estera europea, prendere decisioni o tenere una linea favorevole a Israele andando in questo modo contro gli interessi milionari del marito? 

Da qualsiasi parte del mondo questo si chiama conflitto di interessi.



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Titolo originale dell'articolo:
Israel: here is the reason for the anti-Israeli line of Catherine Ashton. This is a conflict of interests


giovedì 8 agosto 2013

Israele: un'isola che protegge i cristiani in Medio Oriente


Israele, unica isola che protegge i cristiani in Medio Oriente 
di Michael Oren 



La Basilica di Betlemme è sopravvissuta più di mille anni attraverso guerre e conquiste, ma il suo futuro in quel momento appariva in pericolo. Sulle sue antiche mura erano state vergate con la vernice a spruzzo le lettere arabe della parola HAMAS. Correva l'anno 1994 e la città stava per passare dal controllo israeliano a quello palestinese. 

In qualità di consigliere del governo israeliano, mi incontravo con i sacerdoti della Basilica su questioni inter-religiose. Erano sconfortati, ma anche troppo spaventati per sporgere denuncia. Gli stessi teppisti di Hamas che aveva profanato il loro santuario avrebbero potuto prendersi anche le loro vite.

Il trauma di quei sacerdoti è diventato oggi esperienza quotidiana fra i cristiani mediorientali. La loro percentuale, sulla popolazione complessiva mediorientale, è precipitata dal 20% di un secolo fa a meno del 5% oggi, e continua e decrescere. In Egitto, l'anno scorso, duecentomila cristiani copti sono fuggiti dalle loro case dopo i pestaggi e i massacri ad opera di folle di estremisti islamici. Dal 2003, 70 chiese irachene sono state bruciate e quasi mille cristiani uccisi solo a Bagdad, provocando la fuga di più di metà di quella comunità da un milione di persone. La conversione al cristianesimo è perseguita come reato capitale in Iran, il paese dove il mese scorso è stato condannato a morte il pastore evangelico Yousef Nadarkhani per apostasia (rinuncia all'islam). In Arabia Saudita le preghiere cristiane sono fuori legge anche in privato. 

Come un tempo vennero espulsi dai paesi arabi 800.000 ebrei, così oggi vengono costretti a fuggire i cristiani da terre dove hanno abitato per secoli. L'unico posto in Medio Oriente dove i cristiani non sono in pericolo, ma anzi fioriscono, è Israele. 

Dalla nascita d'Israele, nel 1948, le comunità cristiane del paese (ortodossi greci e russi, cattolici, armeni e protestanti) sono cresciute di più del 1.000%. I cristiani giocano un ruolo importante in tutti gli aspetti della vita israeliana, sono presenti in Parlamento, nel Ministero degli esteri, nella Corte Suprema. Sono esentati dal servizio militare di leva, ma migliaia di loro si arruolano come volontari prestando giuramento su un testo del Nuovo Testamento stampato in ebraico. I cristiani arabo-israeliani sono in media più benestanti e più scolarizzati della media degli ebrei israeliani, e prendono anche voti migliori nei test di immatricolazione. 

Questo non significa che i cristiani d'Israele non si imbattano a volte in manifestazioni di intolleranza. Ma a differenza del resto del Medio Oriente dove l'odio verso i cristiani è ignorato o addirittura incoraggiato, Israele è e rimane legato al solenne impegno contenuto nella sua Dichiarazione d'Indipendenza di riconoscere "completa eguaglianza a tutti i propri cittadini indipendentemente dalla loro religione". Israele garantisce libero accesso a tutti i Luoghi Santi cristiani, che rimangono sotto esclusiva tutela del clero cristiano. Quando i musulmani tentarono di erigere una moschea a ridosso della Basilica dell'Annunciazione a Nazareth, il governo israeliano intervenne per preservare la sacralità del santuario cristiano. 

In Israele si trovano molti i Luoghi Santi cristiani (come il luogo di nascita di San Giovanni Battista, Cafarnao, il Monte delle Beatitudini), ma lo stato d'Israele si estende su una parte soltanto di quella che la tradizione ebraica e cristiana considera Terra Santa. Il resto si trova nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Ma in queste aree sotto controllo palestinese i cristiani patiscono le stesse condizioni dei loro correligionari nel resto del Medio Oriente. Da quando Hamas, nel 2007, ha preso il controllo della striscia di Gaza, metà della comunità cristiana che vi risiedeva è fuggita. Proibite sono le decorazioni natalizie cristiane e la pubblica esposizione del crocefisso. In una trasmissione televisiva del dicembre 2010, esponenti di Hamas incitarono i musulmani a trucidare i loro vicini cristiani. Rami Ayad, proprietario dell'unica libreria cristiana di Gaza, venne assassinato e il suo negozio ridotto in cenere. Si tratta della stessa Hamas con cui l'Autorità Palestinese che governa in Cisgiordania ha recentemente firmato un patto d'unità. Non c'è da stupirsi, quindi, se si registra un esodo di cristiani anche dalla Cisgiordania, dove un tempo erano il 15% della popolazione mentre ora non arrivano al 2%. 

C'è chi attribuisce questa fuga alla politica di Israele che negherebbe ai cristiani opportunità economiche, ne arresterebbe la crescita demografica e ne impedirebbe l'accesso ai Luoghi Santi di Gerusalemme. In realtà, la maggior parte dei cristiani di Cisgiordania vive in città come Nablus, Gerico e Ramallah che sono da sedici anni sotto il controllo dell'Autorità Palestinese: tutte città che hanno conosciuto una vistosa crescita economica e un forte aumento di popolazione… fra i musulmani. 

Israele, nonostante la vitale necessità di proteggere i suoi confini dai terroristi, in occasione delle festività consente l'accesso alle chiese di Gerusalemme anche ai cristiani provenienti sia dalla Cisgiordania, sia dalla striscia di Gaza. A Gerusalemme stessa il numero di residenti arabi, compresi i cristiani, è triplicato da quando la città è stata riunificata da Israele, nel 1967. 

Dunque deve esservi un'altra ragione per spiegare l'esodo dei cristiani dalla Cisgiordania. La risposta si trova a Betlemme. Sotto il patrocinio d'Israele (1967-1996), la popolazione cristiana della città era cresciuta del 57%. Dopo il 1996, invece, sotto l'Autorità Palestinese il loro numero è precipitato. Palestinesi armati si impossessarono di case cristiane da dove per anni i loro cecchini hanno fatto fuoco sule case dei prospicienti quartieri ebraici di Gerusalemme sud, fino a costringere Israele a costruire la barriera protettiva (che ora gli viene imputata). Palestinesi armati occuparono anche la Basilica della Natività, saccheggiandola e usandola come latrina. Oggi i cristiani, che a Betlemme erano la maggioranza, non costituiscono più di un quinto della popolazione di questa loro città santa. 

L'estinzione delle comunità cristiane in Medio Oriente costituisce un'ingiustizia di dimensioni storiche. Eppure Israele rappresenta un esempio di come questa tendenza possa essere non solo prevenuta, ma ribaltata. Se godessero del rispetto e dell'apprezzamento che ricevono nello stato ebraico, anche nei paesi musulmani i cristiani potrebbero non solo sopravvivere, ma crescere e prosperare. 



(Wall Street Journal, 9 marzo 2012 - da israele.net)
http://www.ilvangelo-israele.it/approfondimenti/Israele_unica_isola.html

Alle origini dell'imbroglio britannico

Alle origini dell'imbroglio britannico
di Marcello Cicchese




Qualche tempo fa è stato presentato al pubblico il libretto "Questa Terra è la mia Terra - Mandato per la Palestina", traduzione in italiano di un testo in inglese di Eli H. Hertz. Il libro riporta documenti noti agli storici, ma purtroppo trascurati e probabilmente ignoti anche a molti sostenitori di Israele, che evidenziano gli aspetti legali del popolo ebraico alla terra biblica chiamata in seguito Palestina. Considero quindi molto valida questa iniziativa dell'autore, dei traduttori e dell'editore italiano, e la presenza nel libro di una mia postfazione conferma questa mia valutazione. Ma avverto l'obbligo di una precisazione che avrei voluto fare subito, se il tempo messo a disposizione nelle pubbliche presentazioni del libro l'avesse consentito. 

Quando ho avuto per la prima volta tra le mani il testo già stampato, quindi quando ormai non si poteva più fare niente, mi sono accorto e ho fatto notare all'editore italiano che nella quarta pagina di copertina si trova qualcosa a dir poco sorprendente. Riporto il testo integralmente:

In Palestina per diritto e non per tacito assenso... 
Quando ci si chiede cosa si intende con lo sviluppo della Patria Nazionale Ebraica in Palestina, si può rispondere che non si tratta dell'imposizione di una nazionalità ebraica sull'insieme degli abitanti della Palestina, ma di un ulteriore sviluppo della già esistente comunità ebraica, coadiuvato dagli ebrei in altre parti del mondo, perché possa diventare un centro da cui tutto il popolo ebreo, sulle basi della religione e della razza, tragga interesse e orgoglio. Ma perché questa comunità possa avere la migliore prospettiva di libero sviluppo e perché il popolo ebraico abbia la piena opportunità di mostrare le proprie capacità, è essenziale sapere che si trova in Palestina per diritto e non per tacito assenso. 
Winston Churchill
Segretario di Stato britannico per le Colonie
giugno 1922

Mi sono chiesto, sorpreso, se si trattava di un'iniziativa particolare dell'edizione italiana, ma ho potuto verificare che lo stesso testo si trova nella seconda pagina di copertina della versione originale. Data l'importanza della cosa, sarà bene riportare integralmente anche il testo inglese:

In Palestine as of Right and Not on Sufferance ... 
When it is asked what is meant by the development of the Jewish National Home in Palestine, it may be answered that it is not the imposition of a Jewish nationality upon the inhabitants of Palestine as a whole, but the further development of the existing Jewish community, with the assistance of Jews in other parts of the world, in order that it may become a centre in which the Jewish people as a whole may take, on grounds of religion and race, an interest and a pride. But in order that this community should have the best prospect of free development and provide a full opportunity for the Jewish people to display its capacities, it is essential that it should know that it is in Palestine as of right and not on sufferance. 
Winston Churchill
British Secretary of State for the Colonies
June 1922

Chi è appena un po' familiare con l'argomento avrà riconosciuto che è una citazione tratta dal "Churchill White Paper" del 3 giugno 1922, la prima edizione del famigerato "Libro Bianco" britannico. E' davvero incomprensibile che in un libro scritto per sostenere il Mandato per la Palestina come base legale del diritto degli ebrei a ricostituire la loro nazione sulla loro terra si citi un passo tratto da un documento che rappresenta precisamente il subdolo tentativo britannico (purtroppo riuscito) di annullare questo diritto, modificandolo alla radice e inserendo fraudolentemente un altro inesistente diritto: quello degli arabi. Lo studioso Howard Grief, che ha dedicato venticinque anni di lavoro a questo tema, traendone un libro di oltre 700 pagine, già più volte citato in questo sito, dà questo netto giudizio delle parole di Churchill:

"These words were the epitome of trickery and subtlety, because they conveyed a meaning different from that of the Mandate Charter, that was almost unnoticeable." (p. 451)

"Queste parole erano l'epitome di frode e ambiguità, perché trasmettevano un significato diverso da quello della Carta del Mandato, che risultava quasi impercettibile".

Grief descrive ampiamente, non solo in riferimento a questa frase, l'atteggiamento ambiguo e fraudolento assunto dalla Gran Bretagna alla fine della prima guerra mondiale, quando il sostegno offerto dagli ebrei non sembrava più indispensabile. Ma già dall'analisi di questo testo si può riconoscere qualcosa della britannica "diplomazia" usata in questo testo, e in altri ad esso collegati, esaminando il modo in cui le parole vengono adoperate per alterarne impercettibilmente il significato o per fargliene assumere diversi, da applicare in modo variabile a seconda della convenienza. 

Il testo britannico parla di developement della Jewish National Home, mentre il testo del Mandato (Art. 2 e 4) parla di establishement della stessa. Se qualcosa deve essere "sviluppato" vuol dire che c'è già, e questa sarebbe, secondo Churchill, la comunità ebraica; ma se qualcosa deve essere "costituito" vuol dire che non c'è ancora, e questa, secondo il Mandato, è la nazione ebraica. Churchill ha fatto sparire la nazione che deve essere costituita sostituendola con la comunità che deve soltanto essere sviluppata. Questo avrebbe dovuto tranquillizzare gli arabi. Pensando a loro, dice infatti che "non si tratta dell'imposizione di una nazionalità ebraica sull'insieme degli abitanti della Palestina". Questo doveva servire a tenerli buoni, assicurando loro che in Palestina non ci sarebbe mai stata una nazione ebraica in cui avrebbero dovuto essere costretti ad entrare, ma soltanto "un ulteriore sviluppo della già esistente comunità ebraica".  

Poi però pensa agli ebrei, che potrebbero arrabbiarsi, e per tenerli buoni li adula con parole dolcissime: la nazione degli ebrei - dice in sostanza - cioè una nazione che è ebraica come è inglese la nazione degli inglesi, gli ebrei se la possono scordare, ma in compenso avranno "un centro da cui tutto il popolo ebreo, sulla base della religione e della razza, tragga interesse e orgoglio": una cosa da far gonfiare il petto. Religione e razza vanno benissimo, che bisogno c'è di una nazione? Non è forse questo, ancora oggi, il pensiero degli antisionisti aperti e democratici? Ma se la comunità ebraica resta su quella terra - dice sempre Churchill - nessuno dovrà storcere il naso perché la Gran Bretagna ha stabilito che il popolo ebraico (non la nazione) "si trova in Palestina per diritto e non per tacito assenso". 

Qui, proprio qui, nel "Churchill White Paper" del 1922 si trovano le origini dell'imbroglio britannico. Possibile che gli ebrei, a distanza di tanti anni, non se ne siano ancora accorti e vogliano continuare a farsi prendere in giro da Winston Churchill?

Howard Grief spiega chiaramente come stanno le cose:

"... usò la parola "developement" insieme con l'espressione "Jewish National Home" per descrivere l'esistente comunità in Palestina, che sarebbe diventata per gli ebrei un centro di interesse e orgoglio in tutto il mondo. Era questa comunità che doveva essere "ulteriormente sviluppata" attraverso una crescita della sua popolazione, il cui numero, comunque, sarebbe stato strettamente condizionato dalla capacità di assorbimento economico del paese. Con questo sotterfugio quasi impercettibile, il Libro Bianco cambiò sottilmente il significato di "Jewish National Home" da Stato alla fine indipendente in una semplice comunità e centro accanto alla popolazione araba del paese. In questo modo il significato del termine fu reso innocuo, perché il Libro Bianco rese la Jewish National Home non diversa dalle altre comunità ebraiche e centri in altre parti del mondo, che erano anch'esse fonte di interesse e orgoglio per tutto il popolo ebraico." (p. 451)

Si potrebbe pensare che tutto questo costituisca soltanto un accademico gioco di parole, bisogna dire invece che proprio da queste parole è venuto l'inizio di una maligna manipolazione interpretativa del Mandato per la Palestina che ha portato prima gli inglesi e poi tutto il mondo ad un'opposizione giuridica allo Stato ebraico che continua ancora oggi. Howard Grief lo afferma con chiarezza:

"E' stato il Libro Bianco del 1922 il vero punto di svolta che ha condotto al fallimento e alla rovina del Mandato, perché ha stravolto l'originale progetto britannico del 1917, reiterato nella Conferenza di Pace a Sanremo, di costituire uno Stato ebraico indipendente sotto la loro tutela." (p. 436)

L'ultima versione del Libro Bianco, nota come "MacDonald White Paper", fu emanata nel 1939 e fu in forza di essa che la Gran Bretagna respinse i profughi ebrei in fuga dall'Europa davanti alla barbarie dei nazisti. Se si leggono le "motivazioni giuridiche" di quel nefasto documento, si vede che esso fa riferimento proprio alle parole del "Churchill White Paper" del 1922, Nel 1939 Churchill ebbe una specie di tardivo rimorso e votò contro quel documento, ma ormai era troppo tardi. Alla sua ambiguità, e anche a certi gravi errori commessi dai leader ebraici, si deve la funesta deformazione dei fatti che perdura fino ad oggi.

"La circonvenzione della Dichiarazione Balfour è continuata per tutto il periodo del governo mandatario, durato dal 1o luglio 1920 fino al 14 maggio 1948. La deturpazione del Mandato originata dalla falsa interpretazione operata dal Libro Bianco di Churchill, e tutti gli altri atti di poltica che ne sono seguiti, hanno lasciato la maggior parte delle persone nell'ignoranza dell'attuale esistenza di diritti legali ebraici e del titolo di sovranità su tutta la terra di Palestina" (p.468).

Si tratta - dice sempre Grief - di una "nuvola di abissale ignoranza" che aspetta ancora di essere dissolta attraverso precisi e coraggiosi atti politici dei governanti di Israele.  

Un'inaspettata conferma dell'inganno perpetrato dalla Gran Bretagna ai danni del popolo ebraico si può trovare nelle parole di David Lloyd George, il Primo Ministro inglese con cui la Gran Bretagna aveva vinto la guerra e sotto il cui governo era stata stilata la Dichiarazione Balfour. Nel 1939 votò contro il MacDonald White Paper, e giustificò la sua posizione in una solenne dichiarazione che fece alla radio sei giorni dopo l'approvazione dell'infame documento. Le sue parole possono servire, in un certo senso, a riscattare l'onore degli inglesi. Dopo averle tradotte, abbiamo riportato la loro lettura nell'audio che si trova in calce.  
Ma si può riportarne subito la frase finale, che dovrebbe essere presa in seria considerazione da tutti coloro che con spensierata facilità parlano di pace: 


Non si può costruire la pace nel mondo 
se non sulla base della buona fede internazionale.


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Per la registrazione audio rimandiamo all'articolo originale che si trova a questo LINK e per la trascrizione alla nostra PAGINA DEDICATA.

David Lloyd George: dalla Dichiarazione Balfour all'infamia del White Paper. Gli inglesi non mantennero il patto con la comunità ebraica




David Lloyd George fu il Primo Ministro inglese con cui la Gran Bretagna aveva vinto la Prima Guerra Mondiale e sotto il cui governo era stata stilata la Dichiarazione Balfour. Nel 1939 si schierò contro il MacDonald White Paper (l'infame documento che faceva seguito al Libro Bianco di Churchill del 1922) con cui, di fatto, si impediva agli Ebrei l'ingresso in Palestina, proprio nel momento in cui in Europa si faceva sempre più incalzante l'incubo nazista.


Questo il suo discorso alla radio, a 6 giorni dall'approvazione del documento:


Poiché ero primo ministro nel momento di avvio della famosa Dichiarazione Balfour, naturalmente ero associato molto strettamente con tale eminente statista nella preparazione del documento (...) uomini di tutte le correnti erano impegnati nella preparazione di tale documento. E' utile a questo punto rendere noti alcuni dei fatti che ci hanno spinti a perseguire questa politica.Venticinque anni fa l'impero Britannico si trovava impegnato per la causa della giustizia internazionale in una lotta per la vita o per la morte contro il più formidabile impero militare del mondo. Nel 1917 il conflitto aveva raggiunto una fase critica, quando l'esito appariva più che mai incerto. Sulla bilancia il peso della vittoria sembrava pendere dalla parte dei militaristi tedeschi. Per raggiungere il loro obiettivo, i leader di entrambe le parti in questo conflitto, facevano ogni sforzo per attirare dalla loro parte tutte le forze e le risorse disponibili, interne e neutrali. 
Gli alleati, come anche i loro nemici, avevano capito l'indubbia influenza e le opportunità che gli Ebrei discendenti della grande diaspora avrebbero potuto avere ed usare in punti vitali del vasto campo di battaglia. I combattenti entrarono quindi in una gara per la cattura di tale influenza. Entrambe le parti proposero ai leader ebraici, come ricompensa del loro sostegno, che in caso di vittoria avrebbero assicurato ad Israele la realizzazione dei suoi sogni, il restauro di una Casa per i suoi Figli nella terra che è stata resa immortale dal contributo che i loro antenati, in quel luogo, hanno dato per tutto ciò che vi è di più nobile nella nostra civiltà. 
Gli Ebrei hanno scelto di accettare la nostra parola a preferenza di quella data loro dai tedeschi. La famosa dichiarazione Balfour sulla creazione di una patria per gli ebrei nella terra di Canaan non è stata un'offerta scaturita dalla nostra grazia sovrabbondante. E' importante e si deve tenere ben presente che si trattava di un patto che richiedeva il contraccambio per la valida offerta fatta a noi: l'effettivo sostegno degli ebrei di tutto il mondo per causa alleata, particolarmente in America, in Russia e nell'Europa Centrale. Tutti i partiti, Conservatori, Liberali, Socialisti, senza eccezioni e senza proteste accettarono questa dichiarazione non solo in Gran Bretagna, ma in tutti i paesi alleati e associati. 
Gli Ebrei hanno lealmente mantenuto la loro parte del patto, adesso noi stiamo cercando di scivolare fuori dalla nostra parte. Le maliziose manovre operate negli ultimi anni da Italiani e Tedeschi in mezzo ad una piccola parte degli Arabi ci hanno spinto a compiere un atto di nazionale perfidia che porterà disonore al nome britannico. Ci ha già inimicato la potente comunità degli Ebrei, che raggiunge in complesso un totale di 17 milioni di persone, residenti in ogni parte del globo. Prenderà forza la profonda e disastrosa convinzione che la nostra parola d'onore non può più essere creduta se il mantenerla ci costa qualcosa. Fino a poco tempo fa la Gran Bretagna era considerata un Paese che mantiene sempre la sua parola, adesso corre il rischio di perdere questa onorevole fama. La maggior parte dei nostri problemi in questi ultimi anni è venuta dal fatto che ogni volta che la nostra parola data si è scontrata con qualche difficoltà il nostro sì non è stato più sì, e il nostro no, non è stato più no. Il nostro tragitto da Pechino al Monte Sion, è pieno di promesse non mantenute. 
Concludo citando un grande detto di Mr. Eden: "Non si può costruire la pace nel mondo se non sulla base della buona fede internazionale".


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la trascrizione del discorso di David Lloyd George è stata tratta dalla traccia audio pubblicata a questo indirizzo: http://www.ilvangelo-israele.it/approfondimenti/Imbroglio_britannico.html, ringraziamo gli autori per aver reso disponibile nel web questo fondamentale documento.

Israele e UNRWA, un rapporto difficile




Ridurre i danni causati dall'Unrwa 
di Steven J. Rosen e Daniel Pipes


Chi muove delle critiche all'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'assistenza ai profughi palestinesi (Unrwa), l'organizzazione che ha il compito di sorvegliare i rifugiati palestinesi, tende a concentrare l'attenzione sui suoi errori. I campi dell'agenzia sono ricettacoli per terroristi. La sua burocrazia è congestionata e nel suo libro paga figurano dei radicali. Le sue scuole insegnano l'incitamento all'odio. I suoi registri puzzano di frode. Le sue politiche incoraggiano una mentalità vittimistica.

   Tuttavia, il problema più importante dell'Unrwa è la sua missione. Da oltre sessant'anni, è diventata un'agenzia che perpetua il problema dei rifugiati piuttosto che contribuire a risolverlo. L'Unrwa non opera per trovare una sistemazione ai profughi; invece, registrando di giorno in giorno sempre più nomi di nipoti e pronipoti che non si sono mai spostati dalle loro abitazioni né hanno mai abbandonato il loro impiego, e inserendoli in modo fittizio nella lista dei "rifugiati", li si aggiunge al numero dei rifugiati che hanno dei motivi di risentimento nei confronti di Israele. Ormai, questi discendenti costituiscono oltre il 90 per cento dei rifugiati dell'Unrwa.

   Inoltre, l'agenzia viola la convenzione sui rifugiati esigendo che quasi due milioni di persone cui è stata data la cittadinanza in Giordania, in Siria e in Libano (e che costituiscono il 40 per cento dei beneficiari dell'Unrwa) siano ancora rifugiati.

   Come risultato di queste pratiche, invece di diminuire grazie alla dislocazione in una nuova zona o in un nuovo paese e al logorio naturale, il numero dei rifugiati dell'Unrwa è aumentato costantemente dal 1949, passando da 750.000 a quasi 5milioni. Di questo passo, i rifugiati dell'agenzia dell'Onu supereranno gli 8milioni nel 2030 e i 20milioni nel 2060, i suoi campi e le sue scuole promuoveranno incessantemente il futile sogno in base al quale questi milioni di discendenti un giorno faranno "ritorno" nelle case dei loro avi in Israele. Quand'anche il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ammettesse che l'invio di cinque milioni di palestinesi [in Israele] significherebbe "la fine di Israele", è chiaro che l'Unrwa ostacola la risoluzione del conflitto.

Un murales che ritrae Ayat al-Akhras, una kamikaze palestinese, 
sul muro di una scuola dell'Unrwa, nel campo profughi di Deheishe, vicino a Betlemme.


   I funzionari del governo israeliano sono ben consapevoli del fatto che l'Unrwa perpetui il problema dei rifugiati e conosce bene le sue pecche. Detto questo, lo Stato di Israele ha un rapporto lavorativo con quest'agenzia delle Nazioni Unite e guarda a essa per assolvere e garantire certi servizi.

   La politica di cooperazione di Israele è cominciata nel 1967 con lo scambio di missive dell'accordo Comay-Michelmore, il carteggio in cui Gerusalemme prometteva "la piena cooperazione delle autorità israeliane (…) [per] facilitare il compito dell'Unrwa". Questa linea politica continua a essere osservata; nel novembre 2009, un rappresentante israeliano confermò "un impegno continuo a rispettare l'accordo" delle missive del 1967 e a sostenere "l'importante missione umanitaria dell'Unrwa". Egli promise altresì di mantenere "un coordinamento stretto" con l'Unrwa.

   I funzionati israeliani distinguono fra il ruolo politico negativo dell'Unrwa e quello più positivo di servizio sociale che fornisce assistenza principalmente medica e educativa. Essi apprezzano che l'Unrwa, con i fondi messi a disposizione dai governi stranieri, aiuti un terzo della popolazione in Cisgiordania e tre quarti nella Striscia di Gaza. Senza questi fondi Israele potrebbe dover affrontare una situazione esplosiva sui propri confini e le pretese della comunità internazionale che, raffiguratolo come la "potenza occupante", esigono che esso si prenda cura di questa gente. Nei casi estremi, le Forze di difesa israeliane sarebbero dovute entrare nelle zone ostili per sovrintendere al funzionamento delle scuole e degli ospedali, tutto a carico dei contribuenti israeliani - una prospettiva assai poco attraente.

   Come riassume un funzionario beninformato, l'Unrwa gioca "un ruolo determinante nel fornire aiuti umanitari alla popolazione civile palestinese che deve essere mantenuta".
Questo spiega perché quando degli amici stranieri di Israele cercano di sospendere i finanziamenti all'Unrwa, Gerusalemme invita alla prudenza o addirittura ostacola questi sforzi. Ad esempio, nel gennaio 2010, il governo canadese di Stephen J. Harper annunciò che avrebbe reindirizzato gli aiuti dell'Unrwa all'Autorità palestinese (Ap) per "assicurare la responsabilità finanziaria e favorire la democrazia nell'Ap". Anche se il B'nai B'rith del Canada ha dichiarato con orgoglio che "il governo ha prestato ascolto" al suo consiglio, i diplomatici canadesi hanno asserito che Gerusalemme ha pregato i canadesi di ricominciare a finanziare l'Unrwa.

   Un altro esempio: nel dicembre 2011, il ministro degli Esteri olandese asserì che il suo governo "avrebbe rivisto" la propria politica verso l'Unrwa per poi dire in seguito, in via confidenziale, che Gerusalemme gli aveva chiesto di lasciare stare i finanziamenti dell'Unrwa.

   Il che c'induce al seguente interrogativo: si possono conservare gli elementi dell'Unrwa utili a Israele senza perpetuare lo status di rifugiati?

   Sì, è possibile, ma questo comporta che sia separato il ruolo dell'Unrwa di organismo che fornisce servizi sociali da quello che consiste nel produrre sempre più "rifugiati". Contrariamente alla sua prassi di registrare i nipoti come rifugiati, la Sezione III.A.2 e la SezioneIII.B delle "Prassi consolidate sull'Eleggibilità e la Registrazione" le permettono di fornire dei servizi sociali ai palestinesi senza definirli rifugiati. Questa disposizione è già in vigore: in Cisgiordania, ad esempio, il 17 per cento dei palestinesi iscritti nelle liste dell'Unrwa nel gennaio 2012 e aventi il diritto di usufruire dei suoi servizi non sono stati registrati come profughi.

   Poiché l'Unrwa agisce in base al mandato conferitole dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la sua automatica maggioranza contraria a Israele è pressoché impossibile imporre un cambiamento. Ma i principali donatori dell'Unrwa, a cominciare dal governo Usa, dovrebbero smetterla di essere complici della perpetuazione da parte dell'Unrwa dello status di rifugiati.

   Washington dovrebbe trattare quest'agenzia dell'Onu come un mezzo per fornire servizi sociali e niente più. Si dovrebbe insistere sul fatto che i beneficiari dell'Unrwa che non sono mai stati spostati o che hanno già la cittadinanza in altri Paesi, anche se forse non hanno diritto a fruire dei servizi dell'Unrwa, non sono dei rifugiati. Stabilire questa distinzione permette di risolvere un'importante questione nelle relazioni arabo-israeliane.



Pezzo in lingua originale inglese: Lessening UNRWA's Damage 

(The Jerusalem Post, 10 luglio 2012 - trad. Angelita La Spada)


Pallywood ha fatto scuola: Egitto 2013, ciack si gira!


Provate a pensare alle notizie che riceviamo dal Medio Oriente. Quando le leggiamo dai giornali, queste sono sempre corredate di foto illustrative, foto che a volte dicono molto di più delle parole e si imprimono nel  nostro subconscio. Ci siamo mai domandati che cosa ci sia realmente dietro a quelle foto?
Prendiamo un esempio dall'attualità, in Egitto la popolazione manifesta a favore dell'ex presidente Morsi, diamo un'occhiata a queste immagini...


Giovani manifestanti innalzano cartelli che inneggiano a Morsi, in primo piano un giovane si protegge dai lacrimogeni con una mascherina e tiene in mano un oggetto che sta per scagliare contro la polizia che li fronteggia...


Alla manifestazione partecipano anche alcune donne velate, negli scontri con le forze dell'ordine la donna ferita viene prontamente soccorsa da un medico, mentre la sua compagna si dispera. Il medico le tasta il polso per cogliere il battito, forse è già morta...


Ancora violenze, questa volta sembra molto grave, il ragazzo non dà cenno di vita ed ha un colorito grigiastro. In secondo piano un foto-giornalista documenta gli scontri...


Altri manifestanti innalzano cartelloni dedicati a Morsi "Beloved President"... ma aspettate un momento!
A parte le poche persone inquadrate si vede benissimo che la strada è semi-deserta. Ben misera manifestazione per un presidente così amato dal popolo... La donna in primo piano sorride serena, ma non si è resa conto dell'ecatombe? Subito a sinistra un uomo giace a terra ferito e soccorso da amici e a destra riconosciamo il gruppetto delle due donne velate in nero con il medico che le soccorre. Addirittura c'è un fotografo che incurante del pericolo dà le spalle alle forze dell'ordine da cui si presume arrivino proiettili di gomma e lacrimogeni...

Ma su, non sarete mica così ingenui?! Non lo vedete che è uno stage fatto apposta per i media occidentali?
Cartelli in inglese, gente giovane, par condicio di donne e uomini, veli di ogni sorta a seconda delle preferenza, facce sorridenti o tragedie alla bisogna.


Questo è il Medio Oriente, signori miei, CIACK SI GIRA!!!


E ora, guardatevi l'intero video su youtube a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=fYbW_ukhfjQ&feature=youtu.be che ne pensate? Non vi sentite lievemente presi in giro? O forse il fine giustifica i mezzi?
Sapete che questi scatti verranno venduti a caro prezzo alle grandi agenzie di stampa internazionali e ce le ritroveremo su Repubblica, la Stampa, il Giornale, ovunque! Come faremo a quel punto a capire che cos'è la verità? Come distinguere la menzogna dalla notizia?


Ma d'altra parte ci aveva già avvertiti Ruben Salvadori, è bene fare un po' di memoria, qui il link all'intervista: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.it/2012/04/ruben-salvadori-market-non-verita.html

I casi di "staging" vero e proprio in Medio Oriente sono all'ordine del giorno, date uno sguardo anche a questo: http://sionismoistruzioniperluso.blogspot.it/2012/05/david-goldstein-pour-haabir-haisraeli.html

mercoledì 7 agosto 2013

Antisionisti a 5 stelle? Risponde Furio Colombo





LETTERA - IL FATTO – 31- luglio 2013 pag. 23

Caro Colombo,

Ho letto con sorpresa e stupore questa frase : "Io sono antisionista. Per me il sionismo è una piaga”. E' di un membro del Parlamento, giovane e nuovo, di quelli che avrebbero aperto e cambiato il Parlamento italiano. La frase è del giovane cittadino-deputato Paolo Bernini, Cinque stelle, che ha guidato una visita del suo partito in Medio Oriente. E per poter formarsi un'opinione completa ed equilibrata, tranne l'aeroporto, ha evitato di visitare Israele o incontrare israeliani. La frase è suonata un bel regalo a Priebke nel giorno del centesimo compleanno del boia delle Ardeatine.

Renato

….

Sono meravigliato anch'io della frase, detta dal deputato Cinque stelle Paolo Bernini, che avrei immaginato impegnato a difendere ciò che resta della funzione del Parlamento e delle libertà italiane (così ci avevano promesso) e lo trovo indaffarato in un cattivo giudizio su Israele (che però non vuole conoscere) nel momento in cui a Washington iniziano, dopo una interruzione di molti anni, nuovi  negoziati di pace con i Palestinesi.
Ciò che stupisce è che il "nuovo" Bernini ripeta  un luogo comune anti-Israele e anti-ebraico che, in Italia,   comincia in alcuni partiti e in Parlamento (provocando la reazione appassionata del Presidente della Assemblea Costituente e primo firmatario della Costituzione Italiana Terracini) subito dopo la Resistenza. Hanno militato con fierezza contro il Sionismo (anche per rapporti stretti o con il passato o con lo stalinismo) sia i neo-fascisti del dopo Resistenza (gli studenti del FUAN, che era allora il movimento universitario di estrema destra, comparivano alle dimostrazioni con la kefiah) sia i comunisti che credevano di combattere l'imperialismo americano (alcuni  gradatamente recuperati alla ragione da grandi sopravvissuti diventati deputati PC, come Giorgina Arian Levi, e da giovanissimi dirigenti di allora come Piero Fassino).
Come tutto ciò che è senza fondamento e senza alcuna conoscenza storica l'antisionismo ha messo radici profonde, e benché fosse stato il pezzo forte della propaganda hitleriana, è restato stabilmente bandiera non solo di Forza Nuova o Casa Pound (è spiegabile) ma anche di una parte della sinistra. Gli uni e gli altri  non hanno mai voluto sapere di grandi personaggi israeliani di pace come Rabin, di tre accordi di pace quasi conclusi e poi sospesi senza trame o colpe di Israele, e del fatto che Israele, unico Paese democratico nell'area, può avere governi che piacciono o che non piacciono (pensate all'Italia!) ma  resta un luogo libero con opinioni diversissime e in continuo cambiamento.

Che cosa ci  farà Cinque Stelle in compagnia del più antico pregiudizio di parti immobili di retro cultura del passato? Chi può avere scaricato su gente giovane votata al nuovo un pezzo così pesante del nostro peggior  passato?

Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche italiane, tenta, con mitezza e chiarezza, di spiegarglielo (Il  Corriere della Sera, 28 luglio). Ricorda  giustamente che il Sionismo (un popolo che ha subito mille persecuzioni e mille deportazioni , fino all'orrore della Shoah, aspira ad avere una patria, esattamente come il lungo viaggio italiano fra Petrarca e Leopardi ) è in tutto simile al Risorgimento italiano, negato solo dai secessionisti della Lega Nord (quando c'erano e spadroneggiavano, per gentile concessione di Berlusconi).
Ma i Cinque Stelle sono giovani. Si può sperare in una chiara e intelligente rettifica del cittadino Bernini e degli altri cittadini-deputati che dovrebbero capire di essere stati in pessima compagnia? Sono sicuri che sia un buon modo di spendere i soldi dei contribuenti questo andare senza ragione in cerca di “nemici" che questo stesso loro Paese ha perseguitato e fatto morire durante il fascismo, e che è stato liberato dal fascismo anche dalla partecipazione volontaria alla guerra di Liberazione dalle Brigate Ebraiche ?

FURIO COLOMBO



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Ci teniamo a precisare che, contrariamente a quanto affermato dal lettore del Fatto Quotidiano, Paolo Bernini non ha guidato la delegazione dei parlamentari 5 stelle in Palestina, che è invece stata guidata dalla ex europarlamentare di Rifondazione Comunista, Luisa Morgantini. Per la precisione Bernini non ha preso neanche parte al viaggio, ma ha rilasciato questa dichiarazione estemporanea sulla sua adesione all'antisionismo tramite la sua pagina personale di facebook.

Da quell'affermazione, come auspicato da Colombo, si sono poi dissociati i parlamentari 5 stelle con una lettera ufficiale indirizzata alla comunità ebraica che ha aperto un intenso dibattito sulla pagina personale del deputato Manlio di Stefano.

Musica per la fratellanza? No, grazie!



L'analisi di Federico Steinhaus 

Una fiammella di speranza, subito spenta dal gelido vento dell'estremismo

La somma di due eventi positivi può sfociare in un risultato devastante? Nel mondo arabo sì, a quanto pare. Nel campo profughi di Jenin, tristemente noto a chiunque segue le vicende della regione, è stata formata una piccola orchestra di 13 musicisti dagli 11 ai 18 anni, maschi e femmine. Questa piccola orchestra ha deciso di chiamarsi "Strumenti a corda della pace". Già questa notizia da sola ha la capacità di aprire i nostri cuori alla speranza: ma allora non tutti i giovani sono stati avvelenati nell'animo dalla propaganda dell'odio a loro dedicata dalla televisione e dalle scuole palestinesi? Evviva! Ma non basta. Questa orchestra è andata a suonare a Holon, in Israele, per un gruppo di sopravvissuti alla Shoah. Magnifico! Commovente! I primi brani eseguiti sono stati la canzone araba "Noi cantiamo per la pace" e due brani per violini e tamburi arabi. Un brano è stato perfino dedicato al soldato Shalit, rapito da Hamas 1000 giorni or sono. Già. Ma al rientro a Jenin le autorità politiche palestinesi hanno sciolto questa orchestra "di pace", la cinquantenne direttrice del gruppo Wafa Younis è stata espulsa dal campo profughi ed il suo appartamento è stato chiuso. Leaders ed attivisti del campo profughi hanno affermato che l'Olocausto è un "problema politico" e che la partecipazione dei bambini al concerto rappresentava "una questione pericolosa" in quanto si contrapponeva alla identità culturale e nazionale palestinese. "Elementi sospetti" si celavano dietro questa vicenda allo scopo di sminuire l'eroismo dei residenti del campo profughi durante l'invasione israeliana del 2002. Il portavoce di diversi gruppi politici del campo, Ramzi Fayad, ha condannato questo evento affermando che esiste una ferma opposizione a qualsiasi forma di normalizzazione con Israele. 


(Informazione Corretta, 30 marzo 2009) 

“Europe’s Hidden Hand”, chiediamo trasparenza in Europa!


Ancora finanziamenti a scatola chiusa?

L’Unione Europa finanzia ong che di fatto promuovono il conflitto
L’Unione Europea versa denaro pubblico a organizzazioni non governative (ong) impegnate in varia misura in attività anti-israeliane, contraddicendo la propria stessa politica. È quanto emerge da un nuovo rapporto intitolato “Europe’s Hidden Hand” (La mano nascosta dell’Europa), pubblicato la scorsa settimana a Gerusalemme dall’organizzazione “NGO Monitor”.
Il rapporto rivela che, tra il 2005 e il 2007, la UE ha versato decine di milioni di euro dei contribuenti europei a ong le cui attività sono in diretta contraddizione con la politica dichiarata della UE stessa. Il rapporto di 50 pagine documenta inoltre una carenza di trasparenza e di responsabilità nella gestione dei fondi elargiti dalle UE alle ong.
Il documento analizza il processo di distribuzione dei fondi a tutta una serie di ong politicamente orientate, fra cui Christian Aid, Adalah, Machsom Watch e Israel Committee Against House Demolitions. Secondo NGO Monitor, molte di queste organizzazioni parteciparono attivamente alla famigerata Conferenza di Durban del 2001 (rimasta celebre come un’invereconda kermesse di propaganda anti-israeliana e anti-ebraica), e fanno costante riferimento a Israele come “lo stato razzista dell’apartheid”. Si tratta inoltre di ong che promuovono attivamente campagne per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele. Alcune propugnano apertamente “la cancellazione di Israele attraverso la creazione di uno stato unico” di Palestina.
“NGO Monitor” sottolinea come queste posizioni siano “in totale contraddizione” con gli impegni assunti dalla UE nell’ambito della Road Map – promossa dal Quartetto Usa, Ue, Russia, Onu – che esplicitamente prevede la coesistenza pacifica fra lo Stato di Israele e uno Stato palestinese.
Cosa preoccupante, prosegue il rapporto, queste ong esibiscono spesso apertamente il logo della UE sui loro materiali propagandistici, mettendo in questo modo sotto il patrocinio della UE le loro posizioni estremiste contrarie alla politica della UE stessa.
Nel rapporto, “NGO Monitor” dice d’aver contattato un certo numero di funzionari UE che tuttavia hanno per lo più dimostrato di “non potere o non volere” fornire le necessarie informazioni circa le politiche di finanziamento e il processo decisionale in questo campo. “La UE – si legge nel rapporto – predica trasparenza e responsabilità, ma non fa mostra né dell’una né dell’altra nei suoi finanziamenti a ong che perseguono obiettivi politici di parte. Nonostante le decine di milioni di euro versati dai contribuenti, non sembra esistere alcun quadro uniforme né un database centralizzato da cui ottenere informazioni circa i finanziamenti alle ong: i dati risultano assai spesso celati sotto molti strati di burocrazia. Inoltre, appaiono estremamente vaghe linee guida circa i finanziamenti alle ong, cosa che lascia le decisioni in merito alla mercé delle bizze e dei pregiudizi di anonimi funzionari della Commissione Europea che non sembrano rendere conto a nessuno”.
Il rapporto chiede alla UE di cambiare politica circa i fidanzamenti alle ong e di istituire chiare linee guida che siano in grado di precludere l’acceso ai finanziamenti alle ong che di fatto “promuovono il conflitto”. Se tali cambiamenti non verranno introdotti, continua il rapporto, la conseguenza sarà che la UE “si renderà nuovamente responsabile di finanziamenti che permettono a queste ong di continuare a demonizzare e delegittimare Israele”.
“Europe’s Hidden Hand” è il primo studio che analizza in modo sistematico i fondi UE alle ong. Un parlamentare europeo lo ha già utilizzato per fare pressione sulla Commissione affinché renda conto della politica e dei meccanismi in vigore a questo riguardo.
“Per troppo tempo – afferma il direttore di NGO Monitor, prof. Gerald Steinberg – la UE ha nascosto i finanziamenti diretti a ong palestinesi, europee e israeliane altamente faziose che, sotto la facciata della pace, del dialogo e dei diritti umani, di fatto promuovono la continuazione del conflitto. Il nostro rapporto chiama la UE ad esercitare su se stessa la trasparenza e la responsabilità che predica agli altri, e a garantire che i finanziamenti alle ong non erodano i valori e le politiche della stessa Unione Europea”.
(Da: Jerusalem Post, 1.04.08)

Verso Durban 2: le ombre sulla Conferenza Onu di Ginevra



di Stefano Magni, 18 Aprile 2009


Perché mai si dovrebbe disertare una conferenza Onu che ha il nobile intento di sradicare la discriminazione e la xenofobia? L’Italia è stata la prima nazione europea a chiamarsi fuori dalla conferenza contro il razzismo di Ginevra e, stando alle dichiarazioni del ministro degli Esteri, Franco Frattini, non dovrebbe cambiare rotta. Israele è stata la prima nazione nel mondo a denunciarne il carattere tendenzioso e a disertare l’evento. Stati Uniti e Canada si sono ritirati subito dopo. La Germania e l’Olanda potrebbero non partecipare ai lavori che iniziano lunedì prossimo.
Questi Stati democratici e liberali sono improvvisamente diventati tutti razzisti? Tutto sommato, leggendo l’ultima bozza della Dichiarazione alla base della conferenza (presentata mercoledì scorso dopo numerose modifiche), non si trova altro che il normale insieme di argomenti contro il razzismo e la discriminazione. Ma non è per razzismo che così tanti governi democratici hanno deciso di non partecipare all’evento. La conferenza di Ginevra, infatti, si ripromette di completare e ampliare i lavori della conferenza di Durban (non a caso l’evento di Ginevra è stato ribattezzato Durban 2) dell’agosto 2001. Durban si risolse in una gigantesca kermesse anti-israeliana, in cui fu chiesto di ripristinare la risoluzione Onu del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo (approfondisci qui con il discorso di Herzog all'ONU e le slide riassuntive del rapporto Israele-ONU).

Nella dichiarazione finale delle Ong del 2001 si leggeva chiaramente questo obiettivo: “Il popolo palestinese ha diritto di resistere all’occupazione con ogni mezzo nei limiti della legge internazionale fino al raggiungimento dell’autodeterminazione e alla fine del sistema razzista israeliano, compresa la sua forma di apartheid”.
Riguardo allo Stato ebraico, si legge nel paragrafo successivo: “continue violazioni della convenzione di Ginevra, atti di genocidio e di pulizia etnica costituiscono la forma di apartheid praticata da Israele. Un aspetto rilevante di questo sistema razzista israeliano è la negazione del diritto al rientro dei profughi palestinesi, sancito dalla legge internazionale”.


Volantino distribuito dalle ONG partecipanti alla Conferenza Onu di Durban 


Non è un caso che la conferenza di Durban, nel 2001, divenne un linciaggio generale contro le delegazioni israeliane ed ebraiche. I continui riferimenti all’apartheid nella terra della segregazione incitarono l’odio delle delegazioni internazionali, e dell’opinione pubblica locale contro i gruppi che ancora osavano sventolare la stella di David. Joelle Fiss, attivista belga degli studenti ebrei europei, riporta chiaramente nel suo “Diario da Durban” numerosi episodi di violenza verbale e fisica contro le delegazioni ebraiche, più la diffusione di libelli antisemiti distribuiti dalle organizzazioni non governative arabe e islamiche di cui esiste ampia documentazione. In un volantino della comunità musulmana sudafricana, divenuto ormai celebre, Hitler si chiede “E se avessi vinto?” e la risposta, consolante per tutto il mondo arabo è: “Oggi Israele non esisterebbe e non ci sarebbe il bagno di sangue palestinese”. La testimonianza di Joelle Fiss rivela tutto lo sconcerto di chi, convinto di aver aderito a un evento mondiale contro il razzismo, si è trovato improvvisamente “in compagnia” di organizzazioni islamiche radicali come Hamas e Hezbollah, di movimenti jihadisti vicini a Bin Laden, di regimi dittatoriali pronti a chiedere l’annientamento di un intero popolo sulle orme di Hitler.

Il rischio che la conferenza di Ginevra diventi la replica di quello scandalo è molto forte. Già da oggi, a Ginevra sono iniziati i lavori di una conferenza del “Forum della Società Civile, la “Israel Review Conference”, il cui titolo è già un pamphlet anti-sionista: “United Against Apartheid, Colonialism and Occupation: Dignity & Justice for the Palestinian People” (Uniti contro l’apartheid, il colonialismo e l’occupazione: dignità e giustizia per il popolo palestinese). I sintomi di una nuova kermesse anti-sionista ci sono tutti, a partire dalla presenza, in qualità di vicepresidente, di Mahmoud Ahmadinejad. Proprio il presidente iraniano che chiede la distruzione di Israele, nega l’Olocausto e discrimina sistematicamente le donne e le minoranze religiose nel suo Paese, sarà sul podio in una conferenza Onu contro il razzismo.
Una conferenza il cui comitato preparatore è stato guidato dalla Libia: una dittatura che si è macchiata di crimini contro gli immigrati neri provenienti da tutta l’Africa, brutalmente deportati nel Sahara o lasciati linciare in numerosi pogrom nelle città libiche.
Un evento, quello di Ginevra, finanziato anche dall’Arabia Saudita, il regno integralista musulmano che addirittura separa le autostrade, non permettendo ai non musulmani di avvicinarsi ai luoghi santi della Mecca e di Medina. Lo stesso regno in cui le donne non possono neppure uscire di casa senza il consenso di un maschio della loro famiglia, non possono guidare un’automobile, hanno la metà dei diritti degli uomini quando sono di fronte a un giudice.

Nelle conferenze regionali preparatorie di Durban 2, l’Organizzazione della Conferenza Islamica ha chiesto di limitare la libertà di espressione, con una nuova legislazione internazionale, al fine di rispettare l’identità religiosa. E’ una richiesta che mina un diritto fondamentale riconosciuto dalla Dichiarazione Universale e che ha provocato la reazione di un’ottantina di Ong occidentali (fra cui il Partito Radicale Transnazionale e UnWatch, l’organizzazione che guida la “resistenza” contro Durban 2), ma che rischia ancora di condizionare i lavori, vista la presenza massiccia di regimi islamici ai lavori di Ginevra. Il Pakistan propone addirittura di rendere il “vilipendio alla religione” un crimine contro l’umanità.
Questi sono solo alcuni dei rischi che si correrebbero se si decidesse di legittimare la conferenza di Ginevra.

Il timore espresso dai Paesi scettici o assenti, Italia compresa, è quello di un “dirottamento” della causa antirazzista. In realtà, a ben vedere, leggendo attentamente le numerose bozze di Dichiarazione che si sono succedute in questi mesi, il “dirottamento” è insito nello stesso concetto teorico dell’antirazzismo. La Dichiarazione di Durban e il Programma di Azione (che viene ribadito e promosso anche dalla conferenza di Ginevra) si basano tutti sul principio della “affirmative action”, l’azione del governo volta a rimuovere le barriere sociali e culturali giudicate discriminatorie nei confronti di una minoranza. Già così si è fuori dal concetto classico di antirazzismo, basato sull’eguaglianza dei diritti individuali e sulla rimozione delle leggi statali discriminatorie: nel momento in cui lo Stato (Stato nazionale o organismo internazionale) interviene attivamente per tentare di garantire pari dignità ad ogni cultura, concedendo nuovi diritti all’uno o all’altro gruppo, siamo in presenza di un vero e proprio razzismo alla rovescia. Ogni gruppo sarà sicuramente indotto a chiedere e rivendicare maggiori diritti per sé, anche se a danno di altri. Dopodiché è solo una questione di gusti: ci sarà sempre chi, nel nome della tutela della dignità del proprio gruppo etnico o religioso, chiederà la soppressione della libertà di espressione, chi la soppressione della libertà di culto e chi, in modo più radicale, la soppressione di un intero Stato giudicato come “un sistema razzista”.

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Titolo originale:
Non tornare indietro sul boicottaggio
Durban 2, il nemico non è il razzismo ma la libertà di espressione
di Stefano Magni, per L'Occidentale
http://www.loccidentale.it/node/69916

martedì 6 agosto 2013

Tra antisionismo e antisemitismo: fare Politica in Italia nel 2011



di Sergio Di Cori Modigliani

I primi sei mesi del 2011 consegnano all’Italia un ennesimo triste record e primato: il nostro paese è stato identificato e segnalato dalla apposita commissione dell’Onu -che si occupa di monitorare i fenomeni di discriminazione e violazione dei diritti civili nelle diverse nazioni- come lo stato sovrano  in cui si sta diffondendo “in maniera sempre più massiccia e allarmante il fenomeno di massa dell’anti-semitismo”.

L’annoso problema dell’anti-semitismo emerge alla ribalta in questi giorni perché a Milano si sta svolgendo l’Expo dei prodotti di Israele e un festival della cultura ebraica. Il Comune aveva precedentemente concesso il permesso di aprire gli stand in Piazza Duomo, ma all’indomani dell’elezione a sindaco di Pisapia, diverse associazioni e gruppi (preferiamo sorvolare sui nomi e le identificazioni per sottrarci ad alimentare polemiche e odi inutili) avevano protestato pretendendo che il Comune negasse l’uso di Piazza del Duomo agli imprenditori israeliani, e così, lì per lì era stato apposto il divieto. Tre intellettuali italiani, Ugo Volli, Alessandro Schwed e Andrè Ruth Shammah hanno scritto una lettera aperta alle più alte autorità, sia milanesi che lombarde che nazionali riferendo i dolorosi fatti. Gli anti-semiti (culturalmente ottusi e volgari proprio in quanto vittime del pregiudizio anti-semita) pensavano di poter contare sull’appoggio incondizionato di Pisapia, il quale, nelle loro menti bacate, era scontato si sarebbe schierato dalla loro parte. E invece no. Senza far rumore, senza dar adito a polemiche inutili, senza aggiungere alcool al fuoco, il nuovo sindaco e i suoi collaboratori hanno convocato questi signori, li hanno calmati con semplici quanto severe ed effettive argomentazioni, e hanno stabilito di concedere l’uso del luogo pubblico agli imprenditori israeliani “nel nome di una libertà di pensiero, di diritti civili e di scambi commerciali il cui fine è porre e identificare la città di Milano come città europea aperta a tutti, senza discriminazione alcuna”.
Problema risolto.



A dimostrazione del fatto che basta davvero molto poco per poter esercitare una modalità di gestione del potere che consenta la salvaguardia dei diritti civili di qualsivoglia etnia, gruppo sociale, cultura, credo religioso. Da persona intelligente, abile avvocato, uomo sensibile e incline al rispetto delle diversità, e leader politico lungimirante e acuto, il sindaco di Milano Pisapia ha dato un ottimo esempio di esercizio della democrazia.
Grazie.

Ma Milano, purtroppo non è tutta l’Italia. Qui di seguito alcuni esempi, presentati in maniera secca e sintetica, per offrire una documentazione attuale ai lettori più sensibili sul fenomeno che sta dilagando in maniera davvero allarmante nel nostro paese:

1). Qualche giorno fa un giovane studente israeliano dell’Università di Genova è stato aggredito da un gruppo di studenti arabi che inalberavano, all’interno dell’ateneo un cartello con su scritto “Itbach el Yahud” (sterminiamo gli ebrei).

2) Nelle università di Bologna e Torino, gli studenti universitari israeliani sono discriminati e perseguitati. Amit Peer, uno studente ha dichiarato “ci stimao abituando in Italia a nascondere il fatto di essere ebrei perché ci siamo resi conto che in questo paese è diventato un grave rischio per la propria incolumità”.

3). A Torino, dove si celebrava il “festival della cultura ebraica” alcuni studenti universitari hanno aperto uno stand ove per un euro si dava la possibilità di sferrare un pungo a un cartellone con l’immagine del presidente israeliano, caricaturizzato come all’epoca dei nazisti.

La vignetta di Vauro sul Manifesto


4). Non aiuta di certo il quotidiano “Il Manifesto” che ha pubblicato una vignetta satirica di Vauro, con sotto scritto Mostri Elettorali, in cui si ritrae l’on. Fiamma Nirenstein, vice-presidente della commissione esteri, con sopra stampata la stella di Davide e dei fasci. La didascalia diceva “Fiamma Frankestein”.

5). Il quotidiano L’Unità ha pubblicato un’intervista all’antropologa Nancy Scheper Hughes nel corso della quale questa studiosa sosteneva che lo Stato d’Israele è il leader al mondo nella “gestione e organizzazione del traffico di organi umani” copiando pari pari le argomentazioni del presidente iraniano.

6) L’addetto culturale dell’ambasciata israeliana in Italia, Shai Cohen, invitata a una conferenza all’Università di Pisa, non ha potuto presentare la propria mozione perché investita da gruppi di studenti anti-israeliani che inalberavano cartelli con su scritto “fascista assassina”.

7) L’ambasciatore israeliano Ehud Gol, invitato dal sindaco Renzi a parlare all’Università di Firenze è stato costretto a rinunciare al proprio intervento in conseguenza di una protesta portata avanti da studenti arabi residenti in Toscana che inalberavano cartelli con caricature ann’30 e le scritte “uccidiamo i fascisti, distruggiamo Isarele, fuori gli ebrei dall’Italia”.

Il manifestino denigratorio contro Vendola, accusato di essere
un sionista traditore del popolo italiano da Luisa Morgantini

8) Chi è l'autore di questo ignobile vergognoso e omofobo manifesto che offende la coscienza nazionale di ogni democratico italiano?
In data 22 maggio, l’on. Luisa Morgantini, già vice-presidente della commissione diritti civili della Comunità Europea, deputato eletto nelle file di Rifondazione Comunista, come europarlamentare a Bruxelles, ha protestato sostenendo che Nichi Vendola ha “gettato la maschera” dimostrando di essere un servo dei sionisti definendolo pubblicamente “un traditore venduto alla causa degli assassini israeliani, colpevole di aver pugnalato gli ideali del popolo italiano”. Secondo questo rappresentante dell’Italia in Europa, il governatore della Puglia si sarebbe dovuto rifiutare di ricevere un diplomatico ufficiale, regolarmente accreditato in Italia. Ha inoltre attaccato Nichi Vendola perché ha consentito, come governatore della Puglia, che si svolgesse il festival della cultura a Bari e ha mandato il proprio assessore alla manifestazione.  A spese dei sostenitori di rifondazione comunista ha stampato questo manifesto che ha diffuso per tutta la Puglia incitando l’odio contro Vendola, identificato come amico degli ebrei.

 9). Il consiglio comunale della città di Riccione (dove è molto alta la presenza di studenti arabi di fede mussulmana) ha sponsorizzato un meeting durato quattro giorni intitolato “Il militarismo di Israele” nel corso del quale si spiegava come “gli israeliani non rappresentano gli ebrei; un gruppo di fanatici militaristi ha preso il potere nella terra dei palestinesi per lanciare una guerra contro i fratelli arabi a nome dell’imperialismo statunitense”. In seguito a questo meeting, i quattro supermercati delle Coop e sei supermercati della Conad, in seguito a minacce, hanno tolto dagli scaffali tutti i prodotti israeliani e hanno protestato i contratti commerciali con lo stato di Israele per evitare guai. (tra l’altro erano anche in gioco la fornitura di specifici prodotti di alta tecnologia da applicare all’agricoltura biologica intensiva che sono stati rispediti al mittente a Haifa, in Israele, con conseguente danno all’economia locale di Riccione. Tre aziende locali hanno dichiarato fallimento e hanno chiuso i battenti perché non in grado di poter utilizzare i prodotti acquistati e pagati in seguito alle pressioni politiche ricevute che li hanno “obbligati” a rimandare indietro i prodotti acquistati).

10). Il filosofo Gianni Vattimo ha recentemente scritto che “sto rivalutando il valore dei protocolli dei Savi di Sion e sto cominciando a pensare che esista per davvero una congregazione clandestina di potenti ebrei che controllano il pianeta e che forse questa storiella della Shoah va rivista, e soprattutto rivisitata”.

Questo è tutto. L'elenco potrebbe proseguire.
Il fine del sottoscritto è invitare il lettore a una riflessione, ad approfondire la razionalità, a interrogarsi, a interrogare per cercare di comprendere, di capire.

Non cadiamo nella facile trappola dell'odio e della faziosità.

Il vero nemico non sono gli ebrei. Non sono neppure i mussulmani. Non sono gli arabi.
Il vero nemico è il seme dell'odio, è l'ignoranza, è la superstizione.
L'anti-semitismo è il vero nemico. E' come il razzismo. Come l'omofobia.

E' una  nuova versione post-moderna dello stupro socio/emotivo.



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L'articolo di Sergio di Cori Modigliani è stato pubblicato sul suo blog Libero Pensiero in data 13 giugno 2011. Titolo originale: La grande lezione di Pisapia e Vendola: uno stimolo verso la democrazia in un paese sempre più pericolosamente fazioso