giovedì 3 maggio 2012

Dall'antisemitismo contemporaneo alla Shekina: Pietro Citati

Il nuovo antisemitismo che si aggira per l' Europa
Repubblica, 28 agosto 2006 —   pagina 1   sezione: PRIMA PAGINA


Quattro anni fa, scrissi un articolo su Repubblica, nel quale osservavo che, dopo cinquant' anni di sonno, l' antisemitismo europeo stava risvegliandosi. In giornali e libri, altri dissero la stessa cosa. Purtroppo, siamo stati eccellenti profeti. 

In questi quattro anni, l' antisemitismo europeo si è moltiplicato, allargato, approfondito. Ora è odio, che consciamente o inconsciamente desidera l'esplosione. Molti credono che i malvagi della terra non siano i russi, i cinesi, i terroristi arabi, e nemmeno gli americani «con le mani sporche di sangue», come dice Oliviero Diliberto. I malvagi sono soltanto loro: gli israeliani, gli ebrei. Basta ricordare la celata (o non celata) soddisfazione, con la quale cronisti e commentatori della televisione e di molti giornali italiani hanno seguito la recente guerra mediorientale. 

Che l' esercito israeliano non avanzasse con la velocità consueta, che cento soldati israeliani morissero, e soprattutto che i lucidi ed elegantissimi missili di Hezbollah colpissero Haifa, suscitava nelle prose dei nostri giornalisti un buon umore inconsueto. 

Senza parlare dell'età romana, in Europa sono esistiti quattro diversi antisemitismi. 

Il primo è quello cristiano: già presente nell' Apocalisse, e violentissimo nei secoli successivi. E il secondo è quello borghese, nato quando si aprirono i ghetti, e gli ebrei diventarono tedeschi, russi, francesi, italiani: avvocati, scienziati, banchieri, scrittori, giornalisti, psicologi, spesso più intelligenti dei rivali cattolici. Il terzo è l'antisemitismo di sinistra, patrocinato da Karl Marx, in un mediocre saggio sulla questione ebraica. Il quarto è quello nazista. 

Oggi, in Europa, i quattro antisemitismi sono vivi e vivaci. 

Per esempio, Umberto Bossi è un antisemita nazista. Anni fa, venne intervistato alla televisione padana da un giornalista piccolissimo, umilissimo e adorante, che lo contemplava come se fosse insieme Gesù, Buddha e Martin Heidegger. Quando il giornalista gli chiese quali fossero le cause delle sventure del mondo, Bossi rispose (come Hitler) che tutti i mali derivavano dai banchieri ebrei di New York, i quali cercavano di corrompere con le droghe e gli emigranti maghrebini il sano sangue del popolo lombardo

Quanto agli antisemiti di sinistra, sono talmente tanti che non oso nemmeno nominarli. Ricordo soltanto una giovane, non so se casariniana o carusiana o agnolettiana, che proclamava ad alta voce: «Quelli che non ha ucciso Hitler, li ammazzeremo noi». 

Anche coloro che non sono apertamente antisemiti considerano Israele una grandissima seccatura, che turba la tranquillità dei loro sonni. Se una notte, possibilmente di sabato, una misteriosa bomba atomica facesse scomparire tutto Israele, fino ai bambini di due giorni, sarebbe per loro una liberazione piacevolissima. 

Così gli europei potrebbero riprendere indisturbati le vacanze del fine-settimana. E la televisione italiana tornerebbe a parlare dei prediletti delitti famigliari (le madri che ammazzano i figli, e le figlie che ammazzano la madre, hanno grande successo), del clima estivo (state attenti: quando c' è sole, bevete molta acqua), della tragedia della Juventus, mostrando ogni sera il volto di Alfonso Pecoraro Scanio: visione, come ognuno sa, meravigliosa. 

Un' accusa, che gli europei rivolgono agli israeliani, è di credersi ancora il popolo eletto. Niente è più falso. Tranne un gruppo di estremisti, mai Israele è stato così incerto, perplesso ed inquieto. E non ha perduto la curiosità ed il piacere ebraici di osservare, comprendere, guardare gli altri e diventare gli altri, di trasformarsi, e contemplare il mondo con occhi sempre diversi. Vorrei ricordare due fatti, entrambi di carattere culturale: niente è più significativo di ciò che accade tra i libri, perché si diffonde lentamente o velocemente in un popolo. 

Nel 2001, Avraham Yehoshua pubblicò un romanzo, La sposa liberata (Einaudi), che esprimeva un affetto così profondo verso i palestinesi, come mai Chateaubriand, Stendhal e Henry James provarono per l' Italia e il paesaggio italiano. Dopo il 1930, un grande studioso, Gershom Sholem, ha ricostruito la storia della mistica ebraica dal secondo al diciottesimo secolo, interpretandola come l'anima nascosta di Israele. Ora, dopo la sua scomparsa, un altro eccellente studioso, Moshe Idel (i cui libri sono pubblicati da Adelphi), ha dimostrato quanto questa mistica dovesse a quella islamica. 

Nessuna ricerca di questo genere è avvenuta nei paesi musulmani, dove la mistica islamica è stata molto spesso dimenticata o cancellata. 

Come tutti sanno (o dovrebbero sapere), gli ebrei sefarditi vissero sotto il dominio islamico un' esistenza molto più lieta dei loro fratelli azkenaziti nell' Europa cristiana. Verso la metà del decimo secolo, il capo della comunità ebraica di Cordoba venne nominato "primo ministro" del Califfato: mentre un vescovo cristiano era "ministro degli esteri". Intorno al 1454, un rabbino di origine francese scrisse ai suoi correligionari una lettera che diventò famosa: «Io ve lo dico, la Turchia è un paese d' abbondanza dove, se volete, troverete riposo... Non è meglio vivere sotto il dominio dei musulmani piuttosto che sotto quello dei cristiani? Qui, ogni uomo può vivere un' esistenza pacifica all' ombra della sua vigna e del suo fico. Qui, nessuno vi impedirà di portare gli ornamenti più belli, mentre nei paesi cristiani non osate vestire i vostri bambini in rosso o in blu, colori che noi amiamo, per paura di esporli ai colpi e agli insulti, e siete obbligati ad andare e a venire miserabilmente vestiti di colori scuri... ». 

Ci furono terribili persecuzioni, come in Spagna nel XII e nel XIII secolo. Poco tempo dopo, in Siria, Ahmad ibn Taymiyya sostenne che bisognava massacrare ebrei, cristiani, musulmani sciiti, e soprattutto i mistici sufi - il culmine luminoso dell' Islam. La saggia autorità politica araba lo fece morire, nel 1328, incatenato in un carcere di Damasco. Per il momento, non ebbe seguaci. Ma, siccome soltanto le idiozie sono immortali, quattro secoli più tardi Muhammad ibn Abd al-Wahhab riprese le idee di Ibn Taymiyya. 

Di lì, il Wahhabismo - giudicato fino a quaranta anni fa, nell' Islam, una setta miserabile - la casa reale dell' Arabia saudita, Osama bin Laden, e l' 11 settembre 2001. Negli ultimi trent' anni, l' antisemitismo islamico tradizionale si è combinato mostruosamente con orrori di ogni fonte, specialmente nazista: I protocolli dei savi di Sion, i kamikaze giapponesi, attentati astutissimi, slogan, motti, calunnie, invenzioni. Come uno storico antico, Apione, la moglie di Arafat raccontava che, nelle sinagoghe, gli ebrei compivano sacrifici rituali di bambini, ingrassati come Pollicino. 

Non soltanto le idiozie ma anche le menzogne attraversavano immortali i secoli; ed è impossibile confutarle. 

Malgrado l'indifferenza e l'ostilità degli europei, non credo che Israele scomparirà mai dalla terra. Scompariranno molto prima Osama bin Laden, il presidente dell' Iran, gli allievi di un criminale come Khomeini, il capo di Hezbollah, e gli antisemiti d' Europa, a qualsiasi specie appartengano. Gli ebrei hanno un dono, che noi cattolici non possediamo, o possediamo in modi diversi. Con passione e avidità, amano il mondo: il "rosso" e il "blu", il "fico" e la "vigna", i viaggi, i libri da leggere e scrivere, i commerci, le ricchezze: eppure, non appartengono completamente alla terra. Con una parte di sé, vivono altrove, dove vaga esiliata la Shekinah, il volto femminile di Dio, ora emanando una pallida luce lunare, ora intonando una musica sempre più cristallina, squillante e trionfale. 

PIETRO CITATI


L'accordo Moro coi terroristi arabi



Notiziario Ucei, 18 agosto 2010

“Cossiga ci lascia dopo aver rivelato una vicenda per noi molto importante quanto dolorosa. Quella che legava il terrorismo palestinese dell'Olp allo stato italiano negli anni Settanta e Ottanta, il cosiddetto lodo Moro, ovvero l'immunità goduta dall'Olp in Italia in cambio del mancato ricorso ad azioni terroristiche sul suolo nazionale. Vicenda che, come la storia ci insegna, non trovò applicazione da parte della stessa Olp in Europa e in Italia, dove ci furono gli attentati al Caffè de Paris, all'aeroporto di Fiumicino, alla nave Achille Lauro e soprattutto alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982 con l'uccisione del piccolo Stefano Tachè.
Per questo motivo, conclude Pacifici, "auspichiamo che i complici di allora diano risposte alle rivelazioni dell'amico Francesco Cossiga".

Verità scottanti che erano emerse solo nell'ottobre del 2008, nel corso di un'intervista esclusiva rilasciata da Cossiga al giornalista Menachem Gantz del quotidiano israeliano Yediot Aharonot. In quella circostanza Cossiga aveva spiegato che in cambio di una mano libera in Italia, "i palestinesi avevano assicurato la sicurezza del nostro Stato e l'immunità di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici, fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d'Israele".

"Per evitare problemi - si legge nell'intervista - l'Italia assumeva una linea di condotta che le permetteva di non essere disturbata o infastidita.
Poiché gli arabi erano in grado di disturbare l'Italia più degli americani, l'Italia si arrese ai primi".

Poi un'altra dichiarazione choc del Picconatore: "Posso dire con certezza che anche oggi esiste una simile politica. L'Italia ha un accordo con Hezbollah per cui le forze UNIFIL chiudono un occhio sul processo di riarmamento, purché non siano compiuti attentati contro gli uomini del suo contingente". Cossiga viene a conoscenza di questi intricati legami con il terrorismo palestinese quando è nominato ministro dell'Interno nel 1976. "Già allora mi fecero sapere - afferma spalancando un cassetto fino ad allora sigillato - che gli uomini dell'OLP tenevano armi nei propri appartamenti ed erano protetti da immunità diplomatica. Mi dissero di non preoccuparmi, ma io riuscii a convincerli a rinunciare all'artiglieria pesante e ad accontentarsi di armi leggere".

 Qualche anno più tardi, quando Cossiga diventa presidente del Consiglio, l'accordo tra Stato e terroristi emerge con maggiore chiarezza: "Durante il mio mandato una pattuglia della polizia aveva fermato un camion nei pressi di Orte per un consueto controllo. I poliziotti rimasero sbigottiti nel trovare un missile terra-aria, che aveva raggiunto il territorio italiano per mare".

Nel giro di alcuni giorni una sua fonte personale all'interno del SISMI (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare), che lui chiama "gola profonda", passa al segretario del governo informazioni in base alle quali il missile andava restituito ai palestinesi. L'input è libanese: "In un telegramma arrivato da Beirut era scritto che, secondo l'accordo, il missile non era destinato ad un attentato in Italia, e a me fu chiesto di restituirlo e liberare gli arrestati".

Su quella pagina buia e mai veramente approfondita era tornato proprio negli scorsi giorni uno dei commentatori del notiziario quotidiano dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che scrive coperto dallo psudonimo "Il Tizio della sera". Il suo pensiero, espresso in terza persona, ci fa ulteriormente riflettere su come il caso Moro sia un capitolo di storia italiana ancora poco conosciuto:


"Scopre due anni dopo, in un'intervista di Cossiga al quotidiano israeliano Yediot Aharonot, che esisteva un cosiddetto accordo Moro, dal nome e dalla volontà dello statista ucciso dalle Brigate Rosse, e che secondo tale accordo stipulato negli anni Settanta l'Italia non si sarebbe intromessa negli affari dei palestinesi, come far viaggiare armi di provenienza sovietica sul territorio nazionale, e che in cambio i palestinesi non avrebbero colpito obiettivi italiani; e con la bocca spalancata dallo stupore come un immenso hangar, scopre che gli ebrei italiani, anzi che gli italiani ebrei, risultavano esclusi dall'equazione e che in modo implicito essi avrebbero potuto essere uccisi, come poi in effetti avvenne.*** Smette di leggere l'intervista perché è finita e scopre di avere finito anche lo stupore e che forse non ne avrà mai più". 

http://hurricane_53.ilcannocchiale.it/?TAG=terrorismo%20palestinese%20in%20italia



*** il riferimento è ovviamente al citato attacco alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, che costò la vita al bambino Stefano Gaj Tachè, ci teniamo a sottolineare che ancora oggi, nel 2012 non è stato riconosciuto dallo Stato Italiano come vittima del terrorismo nonostante le ripetute richieste.
Come mai?


Gli scudi umani: chi è la vittima di chi?

Sebbene non siano mancati anche nel caso di questa oltraggiosa consuetudine i tentativi di depistare l'opinione pubblica, l'orgoglio nazionale trionfa su tutto e sono gli stessi palestinesi a rivendicare l'invenzione della strategia dello scudo umano  Vedi qui per esempio l'articolo di The Palestinian Information center, che piange la morte del Dr. Rayyan, il quale con successo prese l'iniziativa in quel di Jbalya di usare diffusamente tale tecnica, sfruttando la pratica israeliana di avvertire prima di colpire obiettivi militari (qui i dettagli) , al fine di evitare quanto possibile vittime umane, e sfruttando questa pratica al fine opposto di concentrare la presenza di uomini, e specialmente donne e bambini negli obbiettivi militari.
All'epoca ciò aveva fermato le azioni militari, ma poi, come possiamo leggere dopo due anni di questa pratica, 
Nizar al-Rayyan viene colpito, non senza portare con sé altre 15 vite umane. 






La domanda che l'opinione pubblica dovrebbe porsi è: di chi sono quelle vittime?
Alcuni risponderanno: certamente di Israele, essendo illegale l'esistenza del paese e quindi non potendo un paese illegittimo essere in guerra.
Costoro dovrebbero chiedersi: a che pro vengono prodotte quelle vittime, e precisamente quelle immagini di vittime? 
Potrebbe aiutarli nel porsi questa domande anche la recente ondata di altrettanto ben documentati falsi di immagine di bambino (vedi qui); la domanda dovrebbe risuonare così: è possibile che nell'epoca dei media e delle opinioni pubbliche mondializzate, la ricerca della spettacolarizzazione del conflitto, arrivi al punto della creazione della vittima al fin della drammatizzazione del conflitto?
E se la risposta fosse: sì, è successo, succede nello specifico nel caso del conflitto più mediatizzato del pianeta, allora, che ruolo avrebbe l'opinione pubblica all'interno di questo gioco?
Perché è certamente quella occidentale, cresciuta in secoli di immagini sacre di madre e bambini, che pone come sommamente sacra l'immagine del bambino sacrificato. 
Non chiameremmo noi, quella stessa opinione pubblica che si straccia le vesti, che non verifica le fonti, che ha già deciso in anticipo chi sono le vittime e chi i colpevoli, responsabile della loro spendibilità come immagini di vittima, e complice infine del loro deliberato assassinio?

mercoledì 2 maggio 2012

Israele e la guerra dei media, parte I



di Fishman Joel
Jerusalem Center for Public Affairs. Jewish Political Studies Review 19 Nos. 1 & 2, Spring 5767/2007.


La propaganda come arma politica, precedenti storici

“Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male; Che fanno delle tenebre luce e della luce tenebre; Che fanno dell’amaro il dolce e del dolce l’amaro.” (Is 5, 20).

Dobbiamo notare che ricercatori della generazione precedente hanno analizzato diversi aspetti del problema, ma a partire dalla metà degli anni ’80 e in seguito, questo ha suscitato molta meno attenzione. A questo ci sono diverse spiegazioni. Dopo la caduta dell’Unione sovietica e del Blocco dell’Est sembrava che il mondo fosse sulla soglia di una nuova era democratica. E con la firma degli accordi di Oslo (13 settembre 1993), molti credettero che la propaganda anti israeliana sarebbe cessata. Disconoscere il problema ha senza dubbio giocato un ruolo nella questione, perché la persistenza di un intenso movimento anti israeliano e antisemita costituiva una “informazione sgradevole”. Occuparsene diventa politicamente scorretto e pericoloso per coloro che aspiravano a promuoversi nel mondo universitario.  
Poiché il soggetto di questo studio è la storia della propaganda e della falsificazione, è bene aggiungere due parolea proposito della metodologia. Nel suo celebre libro, The Historian’s Craft, l’eminente storico e medievista, Marc Bloch, spiega che provare l’esistenza di una falsificazione non è affatto sufficiente. Si ne vogliamo sapere di più su una menzogna, è necessario  scoprirne l’autore e la motivazione:

« Ma constatare la falsificazione non basta. Bisogna scoprirne i motivi, anche fosse solo per depistarla. Finché sussiste un dubbio sulle sue origini, resterà in essa un elemento ribelle all’analisi, che farà di questo una menzogna provata a metà. Sopratutto, una menzogna in quanto tale è, a modo suo, una testimonianza! » 


Definizione del problema in una prospettiva storica

Poiché molti dei membri dell’élite politica del paese considerano che Israele abbia un problema di comunicazione con l’opinione pubblica, essi non sono stati in grado di fare in modo che lo Stato facesse fronte alla guerra dei media. Se ne deduce che, per conseguenza, abbiamo bisogno di una definizione moderna della propaganda, che è una delle principali componenti. Secondo il prof. Philip M. Taylor, direttore dell’Institute of Communications Studies, dell’Università di Leeds, uno degli strumenti tattici della guerra ideologica è la propaganda, che è stata semplicemente definita
« tentativo di influenzare le attitudini di un pubblico specifico, utilizzando fatti, fiction, l’argomentazione o la suggestione -spesso con l’aiuto della soppressione dei materiali contraddittori – allo scopo deliberato di instillare nello spirito del pubblico-target una certa convinzione, dei valori o convinzioni, che serviranno gli interessi dell’istigatore producendo la linea di consenso desiderata. »

Possiamo aggiungere a questa definizione l’affermazione del Dr Joseph Goebbels, per la quale

« la propaganda in quanto tale non è né buona né cattiva. Il suo valore morale è determinato dallo scopo che persegue. » 
E’ l’argomento classico secondo il quale il fine giustifica i mezzi. Ci si puo’ comunque domandare se, in certi casi, i mezzi stessi possano essere moralmente difettosi.
Nel XX° secolo, la propaganda fu utilizzata soprattutto come arma di guerra, ed i suoi effetti potevano essere devastanti. In effetti, certe ideologie, spinte fino alla loro conclusione logica, sono state genocidarie. Lo storico Jeffrey Herf descrive cosi’ la funzione e la logica della propaganda nella guerra della Germania nazista contro gli ebrei:

« Se la ripetizione ex abrupto di formule, in contesti pubblici e privati, puo’ essere considerata causa di credenza, allora appare che Hitler, Goebbels, Dietrich [Direttore dell'Ufficio Stampa del Reich], il loro personale e una percentuale indeterminata di ascoltatori e lettori tedeschi, credettero che una cospirazione ebraica internazionale fosse la forza motrice che animava la coalizione ostile a Hitler durante la Seconda Guerra mondiale… E’ certo che agirono come se la Soluzione finale fosse la punizione, inflitta dalla Germania nazista, agli ebrei che i nazisti consideravano colpevoli di aver iniziato e prolungato la Seconda Guerra mondiale. »

Nel suo testo, Herf da un esempio doloroso del legame tra propagana e genocidio: il discorso annuale al Reichstag, del 30 gennaio 1939, illustrava « cio’ che diverrà il nocciolo narrativo nazista del conflitto imminente »:
« Oggi, saro’ ancora profeta: se la finanza ebraica internazionale in Europa e fuori Europa dovesse pervenire, ancora una volta, a precipitare i popoli in una guerra mondiale, allora il risultato non sarebbe la bolscevizzazione del mondo, e quindi la vittoria dell’ebraismo, al contrario, sarebbe l’annientamento della razza ebraica in Europa . »

Inoltre Herf fa riferimento al discorso alla nazione pronunciato da Hitler in occasione del Capodanno  1940, nel quale si trova l’«imputazione degli scopi genocidari ai nemici della Germania nazista, specialmente agli ebrei » :  

« Il nemico mondiale giudeo-capitalista che ci affronta ha un solo scopo: sterminare la Germania e il popolo tedesco… » Interpretando questo discorso, Ernst H. Gombrich spiega che lo scopo finale della propaganda nazista era « conferire una tematica paranoide agli avvenimenti mondiali  », sotto forma di « mito paranoide ». 

Secondo Gombrich, tale processo costituisce il  « cuore della tecnica  » :

« E’ l’orrore finale del mito. Esso diventa il suo proprio garante. Per colui che si lascia catturare, questo universo d’illusione diviene realtà e quando si combatte contro tutti, tutti ci combattono, e meno facciamo prova di pietà, più ci si impegna nel suo campo in un combattimento fino alla disfatta dell’avversario. Quando si è presi in questo circolo vizioso, non c’è assolutamente nessuna uscita. Comparato a questo effetto, il principio della pubblicità e della suggestione di massa nella guerra della propaganda puo’ quasi essere considerato marginale .




L’inversione della realtà come arma di guerra dei media, con il suo spirito paranoide, è persistito fino ad oggi. Chiunque degli osservatori contemporanei è stato in grado di descriverne le manifestazioni con grande esattezza, perché non l’hanno piazzato nel suo contesto storico. In questo senso, ad esempio, il ricercatore e filosofo francese Pierre-André Taguieff, ha utilizzato l’espressione “antisemitismo assoluto” per descrivere il punto di vista dei Palestinesi, dopo il 1967 :

« Il sionismo quindi, è un nuovo “nazismo” che minaccia di dominare e distruggere la totalità della specie umana… mentre nel contesto delle élite occidentali non si cessa di invitare a evitare le espressioni “islamofobe”, il direttore del Centro islamico di Ginevra, Hani Ramadan, denuncia tranquillamente il “genocidio perpetrato verso i musulmani» .

Si noterà che la tematica di Ramadan è quasi identica a quella dei propagandisti nazisti. Entrambi si presentano come i bersagli din una cospirazione ebraica, ed il risultato potenziale del loro “processo logico” – per usare un’espressione di Hannah Arendt – è il genocidio. Sebbene abbiano invertito la verità, le loro affermazioni hanno una caratteristica  inquietante e pericolosa: una inversione morale che conduce a un comportamento criminale e ad una violenza senza ritegno.

Mélanie Phillips, una giornalista e blogger inglese senza peli sulla lingua, cita un articolo di  Leo McKinstry, autore e giornalista di Belfast,  il quale scrive regolarmente sul Daily Mail, il Daily Express e il Sunday Telegraph . McKinstry sottolinea l’inversione della realtà concernente Israele nei discorsi pubblici inglesi e la chiama con il suo vero nome :
” Per una straordinaria inversione della realtà Israele è diventato uno Stato paria a causa della sua determinazione a difendersi. Una grottesca doppia morale è oggi all’opera, per la quale terroristi arabi assassini sono acclamati come “combattenti della libertà”, mentre le forze di sicurezza israeliane sono trattate come gangsters fascisti. Nessuna nazione è stata cosi’ demonizzata come Israele.”
Una recente inchiesta a campione condotta in Europa rivela che Israele è considerato oggi come “la più grande minaccia” – una totale assurdità, dato che Israele in realtà è la sola società libera e democratica in Medio Oriente. Ma un tale risultato riflette la forza della propaganda anti israeliana che imperversa nei media europei. Il fatto che tale sentimento anti israeliano abbia l’aria di un apparente sostegno verso i Palestinesi non cambia niente: è profondamente antisemita….”

L’inversione della realtà come metodo politico
Quando si studia la storia dell’inversione della realtà come metodo di propaganda, appare chiaro che le ideologie naziste avevano perfezionato tale arma. Si inorgoglivano apertamente dei loro successi, riconoscendo agli Inglesi di aver loro dato l’esempio.
Durante la Grande Guerra Mondiale (1914-1918) la propaganda inglese incoraggio’ con successo la diserzione dei dei soldati dellePotenze Centrali e la demoralizzazione della popolazione civile. Hitler, da parte sua, insistette sull’uso inglese della propaganda concernente il preteso massacro e lamentando che l’Impero tedesco non avesse mai capito l’importanza della propaganda e che coloro che ne erano incaricati fossero degli incompetenti.

Sotto la direzione di Lord Northcliffe, propietario del Times, gli Inglesi furono i primi a sfruttare il progresso dei media di massa e la pubblicità, mirando all’opinione pubblica piuttosto che alle élites. Il loro obiettivo strategico era di “convincere il nemico dell’inconsistenza della sua causa e della certezza della vittoria degli Alleati”.

A questo scopo immaginarono numerose strategie originali di propaganda, tra le quali quella riguardante la popolazione civile per far vacillare il sostegno al governo. Si proposero di rompere la coalizione dell’Impero di Asburgo fomentando la sedizione tra le diverse componenti della popolazione. Nei loro sforzi gli agenti della propaganda britannica coniarono l’espressione “auto determinazione nazionale”, come arma di guerra politica.
Uno dei mezzi utilizzati dagli inglesi fu la “propaganda dei massacri”. La loro più straordinaria accusa fu che l’Impero tedesco avesse creato una “istituzione di sfruttamento dei cadaveri” (Kadaververwerkungsanstalt) per farne sapone… CONTINUA A LEGGERE QUI


Israele e la guerra dei media, parte II



L’antisemitismo del blocco dell’Est


Lo scatenarsi di una violenta campagna di antisemitismo, per iniziativa degli Stati del blocco dell’Est, fu una conseguenza diretta della vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni. Secondo Stefan Possony, esperto americano in strategia e specialista dell’Europa dell’Est, la Komsomolskaya Pravda espresse il 4 ottobre 1967, con il messaggio seguente, l’essenziale di questa propaganda: “Il sionismo si consacra al genocidio, al razzismo, al tradimento, all’aggressione ed all’annessione dei territori… tutti gli attributi caratteristici del fascismo.”

Anche Léon Poliakov rilevo’ propositi di quest’ ordine nel contenuto di questo documento, che l’autore sovietico aveva estratto da una brochure apparsa nel 1957, quando Johann van Leers era responsabile della propaganda antisemita in Egitto. Questo fatto significativo segnala che la propaganda nazista, proveniente dall’Egitto di Nasser, ebbe influenza sulla propaganda antisemita dell’Unione Sovietica. Ma ci fu un altro canale di trasmissione, grazie al quale la propaganda nazista più autentica potè mettersi in moto direttamente.

Il 6 Settembre 1968, il Dr. Simon Wiesenthal tenne una conferenza stampa a Vienna, nel corso della quale accuso’ la Repubblica Democratica Tedesca di utilizzare un vocabolario identico a quello dell’epoca nazista per condannare Israele. Il titolo della pubblicazione che distribui’ in quell’occasione era: Lo stesso linguaggio: prima nella bocca di Hitler, ora in quella di Ulbricht. In questa pubblicazione ben documentata, Wiesenthal ed i suoi consiglieri identificarono trentanove nazisti, in posizioni elevate durante il Terzo Reich, che erano riusciti a farsi strada al servizio della Repubblica Democratica Tedesca.

Alcuni di questi erano molto ben piazzati. Non è strano che uno degli strumenti di propaganda che essi avevano utilizzato fosse l’inversione della realtà, quando accusavano Israele di essere l’aggressore. Questi fatti possono spiegare perché il Blocco dell’Est si impadroni’ dei temi della propaganda antisemita nazista.

Nel suo “La politica antifascista nella Republica democratica tedesca” J. H. Brinks ha spiegato come nessun ostacolo ideologico impedisse la cooperazione tra membri del partito comunista e i nazional-socialisti, poiché essi erano stati alleati in passato. Cioè finché Hitler non invase l’Unione Sovietica. La vera linea del Partito prese forma in una breve opera intitolata: Attenzione al sionismo! Saggio sull’ideologia, l’organizzazione e la pratica del sionismo. Il suo autore fu Yuri Ivanov, uno specialista del sionismo al Comitato Centrale del partito.  All’inizio del 1969, la Casa editrice di Scienze politiche di Mosca (Krasny Proletary) diffuse questo libro di circa 173 pagine, stampato in 75 mila esemplari, venduto al prezzo modico di 27 kopechi.

C’è da aggiungere che con il cambiamento d’orientamento diplomatico della Francia in favore della causa araba, per la sua grande influenza in Europa, i messaggi anti-israeliani guadagnarono progressivamente credito nel continente. Lo storico Bat Ye’or ha rilevato che la Seconda conferenza internazionale di sostegno ai popoli arabi, al Cairo 1969, fu un punto di svolta per l’Europa. Il suo obiettivo principale fu “manifestare ostilità verso il sionismo e la solidarietà con le popolazioni arabe di Palestina”. Lo storico inglese, Arnold Toynbee e Jacques Berque, specialista francese del mondo arabo, parteciparono a questo avvenimento.



Gli statuti di OLP e  Hamas


Quando ci si affaccia sugli sviluppi di quest’epoca, si devono menzionare le differenti versioni della carta fondatrice dell’OLP, a partire dal 1964. Essa fornisce un messaggio ideologico codificato che incarna le rivendicazioni e i miti palestinesi. In principio questa carta non ebbe molto effetto, ma dopo il 1973, divenne il credo dell’OLP. E’ importante fare osservare che Ion Mihai Pacepa, ex capo dei servizi segreti rumeni, passato a Ovest, rivelava:

« nel 1964, fu il primo Consiglio dell’OLP, composto di 422 rappresentanti palestinesi scelti dal KGB ad approvare la carta nazionale palestinese. Il documento fu redatto a Mosca. Mosca fu anche all’origine della Carta nazionale palestinese e della costituzione palestinese, redatte con l’aiuto di Ahmed Chukeiry, un agente di influenza del KGB, che divenne primo presidente dell’OLP» QUI

Il prof. Yehoshafat Harkabi fu il primo ad accorgersi dell’importanza di questo documento. Nella sua introduzione al suo commento al testo della carta palestinese, Harkabi osservava che il carattere assoluto dell’inversione della realtà da parte dei Palestinesi, era nella sua essenza totalitario:

« Il movimento palestinese rivendica caratteristiche di natura “assoluta” e “totale”. C’è una sola giustizia assoluta nelle posizioni palestinesi, opposta all’ingiustizia assoluta di Israele…il diritto è unicamente da parte palestinese, sola degna di accedere all’auto determinazione; gli Israeliani sono appena creature umane, che possono, al massimo, essere tollerate dallo Stato palestinese in quanto individui, o in quanto comunità religiosa… il legame storico degli Ebrei con la terra d’Israele è un raggiro; il legame spirituale, espresso nel giudaismo dalla centralità con la terra d’Israele, una falsificazione; decisioni internazionali come il Mandato accordato dalla Società delle Nazioni, o la Risoluzione delle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina, sono considerate nulle e non avvenute. » Y. Harkabi, The Palestine Covenant and its Meaning [La Charte de la Palestine et sa signification] (Londres : Vallentine, Mitchell, 1979), 12, 13.

Il contenuto della carta dell’OLP è essenziale per permetterci di comprendere cio’ che l’Autorità palestinese è oggi. Il fatto che Yasser Arafat abbia rifiutato di modificare questo documento, cosa che ha finto di fare in presenza del Presidente Clinton, il 4 Dicembre 1998, è la miglior indicazione delle sue intenzioni reali. Il contenuto della carta di Hamas del 1988, è dello stesso ordine. QUI Küntzel vi ha rintracciato il particolare metodo d’inversione della realtà delle fonti naziste:

« L’impatto rinnovato delle teorie della cospirazione, di matrice nazista, saltano agli occhi nella Carta dei Fratelli musulmani di Palestina, più noti con il nome di Hamas.  Adottata nel 1988, la carta si serve in modo esplicito della retorica antisemita dell’ex Mufti’ di Gerusalemme, che aveva ricalcato il suo discorso da quello nazista. Secondo questa carta “gli ebrei erano dietro la Rivoluzione francese, e a quelle comuniste “. Erano “dietro la prima Guerra Mondiale con lo scopo di eliminare il Califfato islamico… e sono stati dietro la Seconda Guerra mondiale. Se ne sono serviti per guadagnare cifre enormi grazie alla vendita delle armi, e preparare la fondazione del loro Stato”. Hanno creato le Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza… per regnare sul mondo per mezzo dei loro intermediari. Non c’è guerra, ovunque, che non porti il loro marchio”. Il testo originale della carta l’afferma chiaramente all’art. 32, dove è scritto che le intenzioni dei sionisti  “sono state rivelate dai Protocolli dei Savi di Sion, la loro condotta attuale è la miglior prova della veridicità di quanto ci è scritto “. »



“Sionismo= razzismo”


Il 10 novembre 1975, l’Unione Sovietica ed i suoi alleati fecero votare la risoluzione  3379 dell’Assemblea generale dell’ONU, intitolata “Il sionismo è un razzismo”, che trasformo’ uno slogan antisemita in “verità” internazionalmente riconosciuta. I rabbini Abraham Cooper e Harold Brackman spiegarono che il termine “razzismo” era stato inventato nel 1936 per allineare l’opinione politica e scientifica in vista di controbattere la dottrina nazista della “superiorità della razza ariana” paragonata agli ebrei e ai cosiddetti sotto uomini “. Accettare l’equivalenza sionismo=razzismo costitui’ una grave accusa e un’inversione della realtà.

Sebbene la risoluzione 3379 sia stata finalmente abrogata, il 16 dicembre 1991, e l’Unione sovietica relegata a statuto di storia passata, poco tempo dopo (il 26 dicembre 1991), il pregiudizio causato a Israele fu considerevole. Riducendo una questione complessa a slogan, questa accusa, che rovesciava la verità, impedi’ ogni dibattito razionale sui veri problemi del Medio Oriente. Nell’epoca della comunicazione di massa nella quale lo studio del passato non è più di moda, slogans come “sionismo=razzismo” si sono sostituiti alla realtà dei fatti. Hanno invaso i discorsi dominanti e le coscienze di un largo pubblico sprovvisto di senso critico.

I nemici di Israele hanno lanciato molte accuse negli anni che hanno seguito la risoluzione 3379 ; ma, per un certo periodo hanno risparmiato a Israele una nuova offensiva generale contro la sua legittimità. Le cose sono cambiate con la Conferenza mondiale dell’onu contro il razzismo, a Durban, dal 28 agosto all’ 8 settembre 2001. Durban fu teatro di discorsi e manifestazioni antisemite e anti israeliane di una intensità tale che non si conosceva dagli anni ’30. QUI

La ripetizione di un messaggio sempre identico, anche dopo decenni, è una costante nota della propaganda di massa moderna.



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FONTE:


Joel Fishman Jerusalem Center for public Affairs 3 juin 2007
http://www.danielpipes.org/rr/4465.php

lunedì 30 aprile 2012

Il 35% dei musulmani di Gerusalemme Est preferisce Israele!



Pubblichiamo qui i risultati di un interessante sondaggio effettuato nel 2010 e pubblicato il 18 settembre 2011. A quanto pare i musulmani di Gerusalemme est sono molto meno interessati alla politica, che alla loro qualità di vita, ecco perché preferiscono fare la pace con i cugini ebrei e addirittura una gran parte di loro, messa di fronte alla scelta fra due Stati, preferirebbe vivere in Israele. vediamo i dati del sondaggio:




« Supponiamo che l'Autorità palestinese domandi alle Nazioni Unite di proclamare uno Stato palestinese senza l'accordo di Israele... Quali sarebbero, nella vostra vita, le conseguenze pratiche di una tale iniziativa? E' la domanda che un istituto di sondaggi palestinese indipendente, il Palestinian Center for Public Opinion (PCPO), ha posto agli abitanti di Gerusalemme Est.
Le risposte?


Solo il 34 % degli interrogati ha risposto che tale iniziativa avrebbe un "effetto positivo" sulla loro esistenza.
Il 35 % ha concluso per un "effetto negativo".
Il 27 % ha dichiarato che non avrebbe "praticamente nessun effetto".
Il  4 % senza opinione. In totale, il 66% - una maggioranza di due terzi- ha manifestato le proprie riserve verso l'iniziativa.


Ma un'altra domanda ha suscitato risposte ancora più inattese: "Se una soluzione politica implicante la coesistenza di due Stati fosse trovata, preferisreste essere cittadini della Palestina o di Israele?"

Il 35 % degli intervistati ha preferito Israele.
il 30 % la Palestina.
il 35 % senza opinione.
In totale, il 70 % dei palestinesi di Gerusalemme Est non è vincolato all'idea di passare ad un governo palestinese, o preferisce Israele.

Fa pensare quella parte che si dichiara senza opinione, in realtà favorevole a Israele, ma che non osa dirlo apertamente, neanche in un sondaggio anonimo. la maggioranza assoluta, dunque, sembrerebbe favorevole a Israele più che alla "Palestina".

Il PCPO (Palestinian Center for Public Opinion) ha condotto la sua inchiesta nel 2010. I risulatti sono stati poi trattati da un altro istituto, specializzato nell'analisi delle opinioni pubbliche in medio Oriente, Pechter Middle East Polls, e sotto l'autorità di un esperto riconosciuto, David Pollock.
Margine d'errore: più o meno del 3%. Il rapporto finale è stato pubblicato nell'aprile 2011, sotto  l'egida del Council on Foreign Relations (CFR) di New York.

Difficilmente si potrebbe trovare meglio in fatto di metodologia e credibilità.

.....
N.B.
«Gerusalemme Est non esiste come entità amministrativa. Questo termine raggruppa l'insieme dei quartieri e spazi di Gerusalemme situati a est della linea verde, la vecchia linea del cessate il fuoco israelo-giordano, in vigore dal  1949 al 1967. Unita alla Gerusalemme ebraica, nel giugno 1967, all'indomani della Guerra dei Sei Giorni, si situa in effetti a nord, a est e a sud di questa. La superficie è di 64 km. quadrati, su un totale di 125."
.....

http://www.europe-israel.org/2011/09/sondage-70-des-palestiniens-musulmans-de-jerusalem-est-preferent-israel-a-la-palestine/#axzz1YHpAlHF2

I soldi arabi comprano l'industria dei media

Quello che i media dicono o non dicono

Ronn Torossian, amministratore delegato di una grossa società americana di pubbliche relazioni racconta come le nazioni arabe e le organizzazioni terroristiche ottengano una copertura positiva nei media pagando le agenzie di Public Relations. Queste garantiscano copertura mediatica o nascondano alla vista dei media chi le finanzia... quale terzietà, quale informazione onesta e indipendente si può avere in queste condizioni?



Titolo originale: How Arabs Win the PR War
29 aprile 2012
di Ronn Torossian


Ronn Torossian è Amministratore Delegato di 5WPR, una delle 25 principali agenzie di Public Relations negli Stati Uniti, è autore di “For Immediate Release: Shape Minds, Build Brands, and Deliver Results with Game-Changing Public Relations”.





L'industria statunitense delle Public Relations è un'industria di altissimo profilo, ma si tratta di una ristretta cerchia in cui non più di 75 imprese contano più di 50 dipendenti (cioè hanno una portata sufficiente a rappresentare un governo straniero o interessi stranieri).

Durante il pranzo la scorsa settimana, uno dei miei colleghi che, come me, possiede una delle 25 agenzie di Pubbliche Relazioni più grandi degli Stati Uniti, mi ha spiegato perché la sua azienda non  darà più copertura mediatica alle organizzazioni ebraiche e pro-Israele.

Semplicemente ci sono molti più soldi e quindi molto più interesse a lavorare per organizzazioni arabe e filo-arabe. Dal punto di vista commerciale, dal punto di vista del businnes, non è più conveniente lavorare per organizzazioni ebraiche o filo-israeliane. Si tratta di una tendenza in atto, che crescerà nei prossimi anni e vedrà gli interessi arabi ancor più positivamente ritratti nei media internazionali.

Le ultime notizie dicono che il Bahrein ha assunto almeno 10 aziende di Pubbliche Relazioni negli ultimi 12 mesi. 
Sì, avete letto bene - 10 - tra cui Qorvis, la famosa azienda di Washington già ingaggiata dall'Arabia Saudita per salvare la reputazione regno all'estero dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre.

Il regime del Bahrein, che tortura i propri cittadini, ha una terribile situazione dei Diritti Umani e non riconosce l'esistenza di Israele, ha anche ingaggiato Joe Trippi, ex manager della campagna di Howard Dean per la sua candidatura presidenziale nel 2004, e Sanitas International, il cui partner è Christopher Harvin, un ex aiutante di Bush alla Casa Bianca.

Molte cose sono cambiate nel "nuovo" Medio Oriente - fatta eccezione per il riconoscimento di Israele- milioni di dollari vengono spesi in campagne professionali di pubbliche relazioni che sostengono gli interessi arabi:

* La Harbour Group, società di lobbying di Washington DC, è stata assunta dal nuovo governo della Libia. Come The Hill ha recentemente rivelato, Harbour ha da poco firmato un nuovo contratto di 15.000 dollari al mese con l'ambasciata libica.

* Anche Patton Boggs, un altro grande “K street lobbying group” rappresenta ora il nuovo regime libico. Ma avevano già lavorato con il dittatore libico Muammar Gheddafi, affiancati dal Cambridge, un Monitor Group basato in Massachusetts, che ha ottenuto un enorme contratto da 250 mila dollari al mese con Tripoli per il reclutamento di eminenti accademici americani affinché lodassero il governo del dittatore libico negli Stati Uniti.

Non è una novità quindi per il Medio Oriente che i governi arabi investano un sacco di soldi in pubbliche relazioni. Il regime siriano ad esempio continua con la macellazione di migliaia di suoi cittadini quotidianamente, mentre si fa notare la mancata copertura dai media mainstream (e una delle cose che una buona agenzia di Public Relations è in grado di fare, è esattamente garantire che le storie negative non vengano pubblicate).

Un giorno scopriremo chi sta lavorando oggi per la Siria. Pochi mesi fa gli hacker hanno pubblicato  centinaia di e-mail dell'ufficio del presidente siriano Bashar Assad, che hanno rivelato un grande lavoro di preparazione di Assad per la sua intervista con Barbara Walters della ABC, del dicembre 2011.

* La società di PR, Lloyd James Brown, ha lavorato in passato per aumentare  la popolarità e l'influenza internazionale del regime di Gheddafi. Loro stessi hanno dichiarato: "abbiamo assistito il governo libico nei suoi sforzi per raggiungere tutta la comunità politica internazionale attraverso le Nazioni Unite, la politica degli Stati Uniti e la comunità universitaria".

Le organizzazioni terroristiche di Hamas e Hezbollah hanno assunto agenzie di PR per fare lobbying per loro sulla stampa e sulla scena non solo americana, ma mondiale. Questi gruppi terroristici hanno ingaggiato foto-reporter e giornalisti.

* La Fenton Communications, società di PR di New York City, lavora con lo stato arabo del Qatar per sviluppare una campagna di delegittimazione di Israele, in sostanza, orchestrando campagne internazionali anti-israeliane che mirano a rompere il cosiddetto assedio della Striscia di Gaza.

Fenton Communications lavora anche per "Al Fakhoora", un'organizzazione pro-palestinese sempre con sede in Qatar che ha "lanciato una campagna di sensibilizzazione per sporgere denuncia legale contro Israele e cambiare la percezione del pubblico in Occidente sulle sue azioni". Nel loro sito, nell'aprile 2012 dichiaravano di lavorare con Fenton Communications NYC per sostenere la campagna per porre fine al blocco di Gaza. Questa organizzazione continua ad assistere apertamente gruppi terroristici.

L'ufficio dell'OLP  negli Stati Uniti ha assunto la Bell Pottinger, una delle principali agenzia di PR internazionali, per ricevere "consulenze sulla comunicazione strategica, relazioni pubbliche, relazioni con i media e gli affari del Congresso".

* Il gigante statunitense delle Public Relations, Burson-Marsteller, in risposta alla richiesta di Israele per una riunione, ha dichiarato: "Non prenderemo in consegna un progetto del genere ... La nostra è un'impresa commerciale. Se accettassimo il progetto, questo ci creerebbe un'enorme quantità di reazioni negative... Israele è un progetto particolarmente controverso."

C'è una ragione per cui gli arabi vincono la guerra dei media: assumono professionisti della comunicazione, finché spendono soldi continueranno a vincere. 

In Medio Oriente, l'uccisione di persone innocenti continua – dal Bahrein alla Siria e i professionisti delle relazioni pubbliche permettono loro di continuare a vendere le loro storie.

Sono rimasto molto rattristato quando il mio collega mi ha spiegato perché la sua agenzia non avrebbe più lavorato per gli interessi ebraici o per Israele. La mia agenzia non lavora per i barbari moderni che macellano gli innocenti, ma nel frattempo i nostri concorrenti fanno milioni vendendo  terrore e brutalità.

Benvenuti nel Grande Teatro dei Media...!

domenica 29 aprile 2012

Ma allora non si puo' criticare Israele senza essere accusati di antisemitismo?

 


Girando nel web, intervenendo nelle discussioni, leggendo cio' che scrivono gli altri, si riesce a collezionare in breve tempo un numero di commenti esemplificativi del "comune sentire" rispetto alla questione Israelo-palestinese. Strabilianti per numero e varietà! Frasi brevi di solito, poco o punto argomentate e pero' illuminanti circa il pregiudizio e la completa ignoranza che circonda tutto quanto riguardi la storia di Israele e la conoscenza dell'ebraismo. Ovviamente chi si espone scrivendole in pubblico è convinto si essere, al contrario, perfettamente edotto in materia. Le possiamo suddividere in categorie; cominciamo dalla più divertente:

 

CASTRONERIE


La discussione verteva sull'omicidio Arrigoni; Ben commentava: se fosse stato onesto avrebbe lavorato nella West Bank, non nella striscia di Gaza.  Ma ecco che Francesca coglie la palla al balzo e scrive:  

"Non esistono onesti che lavorano in banca! Non è un caso che la maggior parte delle banche sono made in Israel! E' nel vostro DNA essere avidi, approfittatori e usurai!"

Ma povera Francesca! Lo voleva proprio dire cosa pensa degli ebrei; le è bastato sentire BANK ed è scattato il riflesso condizionato!

Ma c'è di più: l'argomento diritti umani. In questo campo Maura è molto ferrata e per questo si prende la briga di scrivere:

"Ah mi sono dimenticata di Israele.... che stupida.... l'unico vero Paese democratico! Cosi' democratico che ancora vige la legge della lapidazione, dove chi non segue la religione di quel Paese viene cacciato (attento se sei cattolico sono cazzi tuoi), cosi' democratico che ha costruito dei lager a cielo aperto per il popolo che cortesemente lo ha ospitato per sessant'anni. Complimenti, tu si' che hai capito tutto!"

Beh Maura, grazie! Grazie per averci donato un minuto di allegria. Sulla "lapidazione ancora in vigore" sorvolo e sorrido; strano che la nostra non si sia accorta che dove questo esiste davvero in pochi si levano a condannare. In merito ai cristiani di Israele QUI  Per la continuità della presenza ebraica in Eretz Israel QUI  In merito a "l'ospitalità" QUI
Si potrebbe discutere su come sia estremamente semplice credere a "un popolo palestinese sempre stato li'" e quanto risulti difficile considerare gli ebrei un popolo di origine Medio Orientale quale è. Forse perché gli israeliani rispondono molto poco ai canoni immaginati propri ai medio orientali e molto a quelli americani? Anche quessto è un pregiudizio. Un pregiudizio che ci introduce alla seconda categoria:


 

Chi sono gli israeliani? E che cos'è Israele?

 

Simona: "Israele un paese civile! ah ah ah un'accozzaglia di bastardi sionisti, assassini alla stessa stregua degli integralisti islamici"

Giusy: "Perché Israele è uno stato?" Eh si'

Informare per Resistere, admin Stefano: "Essere contro lo Stato di Israele è essere antisemiti? Ahahaha, non sapete più cosa inventarvi voi nazi-sionisti"  Essere "contro"? Che cosa significa? Nazi-sionisti?

Informare per Resistere, admin Stefano: "Fatti la pagina "ammazziamo tutti i palestinesi, spariamo ai bambini ma se mi critichi sei antisemita" Già

Gianni: "Si puo' anche fare a meno di Sion"

Sono solo piccoli esempi in un repertorio sconfinato. Israele non è percepito come uno Stato, Israele non ha diritto a esistere, "se ne potrebbe fare a meno" e quando si dice questo ecco lo Stato sionista o nazi-sionista secondo alcuni, diventa Sion. E' come dire " di voi ebrei se ne potrebbe fare volentieri a meno".

Scrive Cristiana Facchini, Direttore Centro Interdipartimentale di Scienze delle Religioni, nel suo articolo:
Le metamorfosi di un'ostilità antica. Antisemitismo e cultura cattolica nella seconda metà dell'Ottocento, «ANNALI DI STORIA DELL'ESEGESI», 2010, 27/1, pp. 187 - 230
" occorre sottolineare che il rapporto storico tra ebrei e cristiani è determinato dalla presenza di un antagonismo strutturale che prende forma fin dai primi secoli dell’era cristiana. La storia di questo rapporto è tanto affascinante, quanto complessa e ambivalente se si accettano le affermazioni di alcuni storici, secondo i quali il processo di parificazione giuridica che coinvolse anche le comunità ebraiche – raggiunta tra la fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento – sia stato il prodotto di un cambiamento di sensibilità all’interno di alcuni gruppi cristiani. Non potendo affrontare questo delicatissimo tema, vorrei però sottolineare un aspetto importante: i cristianesimi, alcuni più di altri, non possono esistere senza “antigiudaismo” essendo questa una componente strutturale della loro identità culturale. Essendo il cristianesimo un sistema religioso complesso, anche l’antigiudaismo è un sistema complesso, che abbraccia più sfere dell’azione sociale e culturale. Laddove il cristianesimo si fa cultura, ossia esce dalle sfere strettamente ecclesiali e modella la vita associata del gruppo di fedeli, allora anche l’antigiudaismo diventa culturale espandendosi oltre la sfera circoscritta del teologico/religioso. Parallelamente, questo aspetto strutturale contempla anche un altro dato, ossia la necessità, che matura a partire dal Seicento, di trovare una soluzione, una collocazione sul ruolo degli ebrei e dell’ebraismo nella società cristiana. Questi elementi sono molto importanti per comprendere alcuni delle questioni che solo superficialmente verranno affrontati in questo breve intervento, dedicato ad alcuni aspetti dell’antisemitismo cattolico. Nella sua variante cattolica, l’ostilità antiebraica riflette le tensioni e i rapporti istituzionali che caratterizzano l’organizzazione del cattolicesimo: nel ricostruire le forme di questa secolare ostilità occorre prestare attenzione alle istanze che provengono dal centro, con punto focale Roma e alle istituzioni che da essa dipendono – per poi analizzare i rapporti con le diverse costellazioni locali, le quali recepiscono i modelli culturali dall’alto e li rielaborano adattandoli ad esigenze specifiche. Le istanze locali (periferie urbane o interi contesti nazionali) sono a loro volta differenziate al loro interno in “culture cattoliche” che a partire dall’Ottocento si politicizzano in direzioni talvolta anche divergenti. Infine, occorre ricordare che la ricerca sulle forme di antisemitismo cattolico deve tenere presente due elementi che contraddistinguono la natura del cattolicesimo: la sua componente politica (che non cessa mai di agire e strutturarsi nella storia) e la sua componente spirituale. Vale a dire, la compresenza, nella chiesa, dell’agire intra-mondano e dell’agire ultra-mondano, elementi fortemente intrecciati tra di loro e che se ben valutati, illustrano megglio le dottrine antiebraiche, parte connaturata della tradizione dottrinale cristiana e cattolica, ed elemento centrale delle sue pratiche politiche."


E Sebastien, in una mirabile sintesi ci dice: "Palestina Libera, Israele Stato criminale, Mossad=Gestapo, Tzahal=SS, Viva Carlos!"

Continua.....

Come ti creo il “dramma”: la mediatizzazione di una conflittualità

Cosa si nasconde dietro il fotogiornalismo di guerra? Testimone o parte attiva nella genesi del conflitto? uno studio al riguardo di Ruben Salvadori.


Ruben è stato direttore della fotografia del film documentario “Inside Jerusalem” e sta ora producendo un documentario multimediale sull’antico rituale di flagellazione dei Vattienti oltre a continuare la sua carriera fotografica. Il suoi lavori sono stati pubblicati su vari giornali e piattaforme di notizie in Israele, Stati Uniti, Korea, Arabia Saudita, Austria, Germania, Italia, Polonia, Bulgaria. Il suo progetto “Dietro le quinte del fotogiornalismo” CONTINUA A LEGGERE QUI


‘Come visit Palestine!’ Il turismo della delegittimazione

Esistono due tipi di turismo della delegittimazione: viaggi guidati e visite specifiche. I viaggi guidati si rivolgono a un pubblico “politico” e a uno religioso. I tour specifici sono invece prettamente politici, diretti alla comunità diplomatica, alle organizzazioni internazionali e ai singoli attivisti. In entrambi i casi lo scopo principale è l’esposizione politica della narrativa palestinese. La delegittimazione opera attraverso il linguaggio propagandistico, la scelta dei luoghi e la spiegazione delle guide.CONTINUA A LEGGERE QUI


Il programma “Presunto innocente” scade nella disinformazione salafita per scusare il terrorista Merah

Un ennesimo caso di disinformazione, che ricalca lo stesso percorso: tutte le vittime sono individuate, e così tutti i carnefici. 

Durante il programma “Presunto innocente” di Jean-Marc Morandini, dedicato al terrorista Mohamed Merah, autore del massacro di  Montauban e Toulouse, una vicina dell’assassino spiega che l’avvenimento  scatenante fu un film che Merah vide, nel quale una donna fu sventrata e il suo neonato ucciso da un soldato. Morandini ha lasciato credere, senza commentare, che il soldato che uccise la donna incinta e il bambino fosse un israeliano!  CONTINUA A LEGGERE QUI


Infopal ci comunica che il Tempio non è mai esistito

Dopo molteplici prove, Infoballa supera se stessa.

 Un ricercatore palestinese ha fatto l’interessante scoperta riportata in data 6/12/2011 da “infopal” circa l’inesistenza del Tempio Ebraico. La cosa consolante è che, se mentono così spudoratamente, anche quando riferiscono cose più verosimili, come maltrattamenti ai danni di detenuti palestinesi, è evidente che raccontano balle. Infoballe, ovviamente.CONTINUA A LEGGERE QUI


The Guardian rettifica: “Gerusalemme non è la capitale d’Israele, Tel Aviv è la capitale di Israele 

Se questa è la rettifica, quale sarà stata la notizia?

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L'AMERICANA CBS ACCUSA ISRAELE DELLE DIFFICOLTA' DEI CRISTIANI PALESTINESI, MA SI SCOPRE CHE NON HA TENUTO CONTO DI NESSUNA FONTE ISRAELIANA


Le vere parole di Levi, come ti mistifico il pensiero di un grande autore per propaganda politica

Un articolo per rendere giustizia di un falso che è un oltraggio a una persona che non può più difendersi:


È merito di Domenico Scarpa e Irene Soave, con un denso articolo, intitolato “Le vere parole di Levi”, pubblicato su Il Sole 24 ore di domenica scorsa, 8 aprile, avere smascherato un falso particolarmente turpe e maligno, per la gravità della sua portata e la vastità della sua circolazione, ossia l’attribuzione a Primo Levi della seguente frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”.   
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WARNING!!! Explicit and offensive anti-Christian material contained


Esame di un caso mediatico e lista dei Siti web che l'hanno originato, divisi per categorie:
Negli ultimi giorni ha girato viralmente sul web questo video, con il titolo Warning!!! Explicit and offensive anti-Christian material contained
Il video di per sé è idiota: una ragazza in bikini che “gioca” con il suo gorilla di peluche a rappresentare la crocifissione di Cristo. La televisione che lo ha trasmesso è una tv israeliana a pagamento che trasmette solo la notte, a volte spettacoli considerati troppo “osé” per essere visti