Non capita tutti i giorni di parlare con
un abitante di Gaza senza avere intorno mille controllori e mille spie
di Hamas pronte a riferire ai terroristi quello che il poveretto
racconta. Ci è capitato due giorni fa al valico di Kerem Shalom,
temporaneamente riaperto dalle autorità israeliane, durante il passaggio
di merci prodotte nella Striscia di Gaza e destinate al mercato europeo
quando l’imprenditore di Gaza che accompagnava il carico si è
soffermato per pochi minuti a parlare con noi della situazione attuale
nella Striscia di Gaza.
Quanti sono a Gaza gli imprenditori come lei che esportano i loro prodotti attraverso Israele?
Diverse centinaia. Alcuni artigiani che
producono prodotti di eccellenza come mobili, complementi di
arredamento, prodotti artigianali, altri che esportano frutta, altri
ancora prodotti della agricoltura.
Quali sono le difficoltà che incontrate?
Per quanto mi riguarda il reperimento
delle materie prime, altri che producono prodotti deteriorabili hanno il
problema delle continue chiusure dei valichi di frontiera. Può
succedere che a causa della chiusura del valico non riescano ad
esportare i loro prodotti che dopo pochi giorni diventano invendibili a
causa del loro deterioramento.
Parliamo di lei, perché ha problemi a reperire le materie prime?
Non è tanto la difficoltà a reperire le
materie prime che si trovano e non sono nella lista di quelle vietate
(non diremo di quali materie prime parla l’imprenditore per non farlo
identificare), è il loro prezzo che cresce continuamente.
Cioè i suoi fornitori aumentano continuamente i prezzi?
Non sono i fornitori ad aumentare i
prezzi, anzi ultimante sono diminuiti e molti prodotti dovrebbero far
parte degli aiuti internazionali quindi a costi di poco superiori allo
zero. Sono le imposte che crescono continuamente.
Lei ci sta dicendo che Israele impone delle imposte sui prodotti che entrano a Gaza?
No, Israele non impone imposte.
E chi le impone allora?
Hamas pretende una quota su tutto quello
che entra a Gaza, che siano aiuti umanitari, prodotti per l’edilizia o
legno per la produzione di mobili poco importa. Qualsiasi cosa che entra
a Gaza viene tassata da Hamas.
Insomma, una specie di pizzo. E a quanto ammonta il pizzo?
Varia tra il 25% e il 40% a seconda della merce o dell’aiuto umanitario.
Come, anche gli aiuti umanitari?
Soprattutto gli aiuti umanitari. Su quelli l’imposta è al massimo perché non hanno alcun costo.
Ci faccia un esempio
Prendiamo un litro di latte con il
marchio dell’Unione Europea. Dovrebbe essere distribuito gratis perché
l’Unione Europea lo ha donato. Invece su quel litro di latte viene
applicata una tassa del 40% sul suo valore. Per farmi capire, Hamas
calcola il consto di un litro di latte intorno ai 300 sheqel sul quale
applica la tassa massima del 40%. Quindi una donna che dovrebbe avere il
latte gratis per i suoi bambini lo deve pagare l’equivalente di 120
sheqel. A Gaza non tutti se lo possono permettere. Se un metro cubo di
legname viene offerto a 1.000 sheqel, è un esempio, l’artigiano di Gaza
lo deve pagare 1.200 sheqel perché Hamas applica una imposta del 20% sul
costo della materia prima. Quindi il 40% su quello che dovrebbe essere
gratis è il 20%, ma cambia a seconda della materia prima, sulle merci
importate.
Ma le ONG non dicono nulla?
Non ho mai sentito una ONG protestare o
dire qualcosa sul fatto che gli aiuti umanitari vengono tassati. Il più
delle volte sono loro stessi gli esattori di Hamas, cioè distribuiscono i
prodotti donati incassando per conto di Hamas la quota richiesta.
Ma perché la gente non si ribella a tutto questo?
E come fa? Le armi le hanno solo quelli
di Hamas e della Jihad (la Jihad Islamica n.d.r.) e se anche qualcuno
prova a protestare sparisce nel nulla. Noi siamo prigionieri di Hamas,
siamo ostaggi.
Eppure da noi arrivano immagini diverse della gente di Gaza. Ci risulta che Hamas abbia un largo seguito.
Non è vero nulla. La gente a Gaza è alla
disperazione e si rende conto che la situazione è la conseguenza della
presenza di Hamas. Noi saremmo i primi a essere contenti se Hamas
scomparisse.
E’ preoccupato della situazione dopo il rapimento dei tre ragazzi israeliani da parte di Hamas?
Sono molto preoccupato. Il mio fornitore
israeliano mi racconta che c’è molta rabbia in Israele. Temo che prima o
poi Israele scatenerà la sua forza militare contro Hamas e a pagarne il
conto saremo ancora una volta noi povera gente. Lo ripeto, siamo
ostaggi di Hamas, prigionieri. La gente di Gaza è stanca di questa vita,
non state a sentire la propaganda di Hamas.
Ma abbiamo visto tutti le immagini della gente di Gaza che festeggiava per il rapimento dei tre ragazzi.
Quelle sono immagini distribuite dalla
propaganda di Hamas. A Gaza pochissimi hanno festeggiato per quel
rapimento, sanno che per noi diventerà ancora più dura. Avevamo sperato
che con la riconciliazione con Fatah le cose potessero migliorare, ma
gli estremisti di Hamas ci hanno messo solo poche ore a rovinare tutto.
Il carico che mi fanno passare oggi era pronto da diversi giorni e solo
oggi hanno permesso il suo passaggio perché dopo il rapimento ogni
valico era stato chiuso. In questi giorni chi aveva prodotti
deteriorabili ha perso mesi e mesi di lavoro perché i suoi carichi
destinati alla esportazione non sono potuti passare a causa di quel
rapimento e sono andati al macero. Crede davvero che noi siamo contenti
di tutto questo?
E perché Hamas ha fatto la riconciliazione con Fatah e poi ha rovinato tutto con questo rapimento?
La situazione non è così semplice. I
politici di Hamas erano contenti di questo accordo perché i loro affari
risentivano negativamente dell’isolamento. Ma non avevano fatto i conti
con gli estremisti che per far saltare l’accordo hanno organizzato il
rapimento. A Gaza e all’interno di Hamas la situazione è molto
complicata non è così semplice come sembra da fuori.
Purtroppo siamo costretti a fermarci qui
anche se avremmo voluto continuare a lungo questa interessante
conversazione, ma l’IDF preme per richiudere il valico e il nostro
interlocutore non si sente molto al sicuro. Non ci sentiamo nemmeno di
fare commenti lasciando ai lettori l’onere di trarre le proprie
conclusioni.
Articolo scritto da Noemi Cabitza e Sarah F.
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