mercoledì 2 maggio 2012

Israele e la guerra dei media, parte I



di Fishman Joel
Jerusalem Center for Public Affairs. Jewish Political Studies Review 19 Nos. 1 & 2, Spring 5767/2007.


La propaganda come arma politica, precedenti storici

“Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male; Che fanno delle tenebre luce e della luce tenebre; Che fanno dell’amaro il dolce e del dolce l’amaro.” (Is 5, 20).

Dobbiamo notare che ricercatori della generazione precedente hanno analizzato diversi aspetti del problema, ma a partire dalla metà degli anni ’80 e in seguito, questo ha suscitato molta meno attenzione. A questo ci sono diverse spiegazioni. Dopo la caduta dell’Unione sovietica e del Blocco dell’Est sembrava che il mondo fosse sulla soglia di una nuova era democratica. E con la firma degli accordi di Oslo (13 settembre 1993), molti credettero che la propaganda anti israeliana sarebbe cessata. Disconoscere il problema ha senza dubbio giocato un ruolo nella questione, perché la persistenza di un intenso movimento anti israeliano e antisemita costituiva una “informazione sgradevole”. Occuparsene diventa politicamente scorretto e pericoloso per coloro che aspiravano a promuoversi nel mondo universitario.  
Poiché il soggetto di questo studio è la storia della propaganda e della falsificazione, è bene aggiungere due parolea proposito della metodologia. Nel suo celebre libro, The Historian’s Craft, l’eminente storico e medievista, Marc Bloch, spiega che provare l’esistenza di una falsificazione non è affatto sufficiente. Si ne vogliamo sapere di più su una menzogna, è necessario  scoprirne l’autore e la motivazione:

« Ma constatare la falsificazione non basta. Bisogna scoprirne i motivi, anche fosse solo per depistarla. Finché sussiste un dubbio sulle sue origini, resterà in essa un elemento ribelle all’analisi, che farà di questo una menzogna provata a metà. Sopratutto, una menzogna in quanto tale è, a modo suo, una testimonianza! » 


Definizione del problema in una prospettiva storica

Poiché molti dei membri dell’élite politica del paese considerano che Israele abbia un problema di comunicazione con l’opinione pubblica, essi non sono stati in grado di fare in modo che lo Stato facesse fronte alla guerra dei media. Se ne deduce che, per conseguenza, abbiamo bisogno di una definizione moderna della propaganda, che è una delle principali componenti. Secondo il prof. Philip M. Taylor, direttore dell’Institute of Communications Studies, dell’Università di Leeds, uno degli strumenti tattici della guerra ideologica è la propaganda, che è stata semplicemente definita
« tentativo di influenzare le attitudini di un pubblico specifico, utilizzando fatti, fiction, l’argomentazione o la suggestione -spesso con l’aiuto della soppressione dei materiali contraddittori – allo scopo deliberato di instillare nello spirito del pubblico-target una certa convinzione, dei valori o convinzioni, che serviranno gli interessi dell’istigatore producendo la linea di consenso desiderata. »

Possiamo aggiungere a questa definizione l’affermazione del Dr Joseph Goebbels, per la quale

« la propaganda in quanto tale non è né buona né cattiva. Il suo valore morale è determinato dallo scopo che persegue. » 
E’ l’argomento classico secondo il quale il fine giustifica i mezzi. Ci si puo’ comunque domandare se, in certi casi, i mezzi stessi possano essere moralmente difettosi.
Nel XX° secolo, la propaganda fu utilizzata soprattutto come arma di guerra, ed i suoi effetti potevano essere devastanti. In effetti, certe ideologie, spinte fino alla loro conclusione logica, sono state genocidarie. Lo storico Jeffrey Herf descrive cosi’ la funzione e la logica della propaganda nella guerra della Germania nazista contro gli ebrei:

« Se la ripetizione ex abrupto di formule, in contesti pubblici e privati, puo’ essere considerata causa di credenza, allora appare che Hitler, Goebbels, Dietrich [Direttore dell'Ufficio Stampa del Reich], il loro personale e una percentuale indeterminata di ascoltatori e lettori tedeschi, credettero che una cospirazione ebraica internazionale fosse la forza motrice che animava la coalizione ostile a Hitler durante la Seconda Guerra mondiale… E’ certo che agirono come se la Soluzione finale fosse la punizione, inflitta dalla Germania nazista, agli ebrei che i nazisti consideravano colpevoli di aver iniziato e prolungato la Seconda Guerra mondiale. »

Nel suo testo, Herf da un esempio doloroso del legame tra propagana e genocidio: il discorso annuale al Reichstag, del 30 gennaio 1939, illustrava « cio’ che diverrà il nocciolo narrativo nazista del conflitto imminente »:
« Oggi, saro’ ancora profeta: se la finanza ebraica internazionale in Europa e fuori Europa dovesse pervenire, ancora una volta, a precipitare i popoli in una guerra mondiale, allora il risultato non sarebbe la bolscevizzazione del mondo, e quindi la vittoria dell’ebraismo, al contrario, sarebbe l’annientamento della razza ebraica in Europa . »

Inoltre Herf fa riferimento al discorso alla nazione pronunciato da Hitler in occasione del Capodanno  1940, nel quale si trova l’«imputazione degli scopi genocidari ai nemici della Germania nazista, specialmente agli ebrei » :  

« Il nemico mondiale giudeo-capitalista che ci affronta ha un solo scopo: sterminare la Germania e il popolo tedesco… » Interpretando questo discorso, Ernst H. Gombrich spiega che lo scopo finale della propaganda nazista era « conferire una tematica paranoide agli avvenimenti mondiali  », sotto forma di « mito paranoide ». 

Secondo Gombrich, tale processo costituisce il  « cuore della tecnica  » :

« E’ l’orrore finale del mito. Esso diventa il suo proprio garante. Per colui che si lascia catturare, questo universo d’illusione diviene realtà e quando si combatte contro tutti, tutti ci combattono, e meno facciamo prova di pietà, più ci si impegna nel suo campo in un combattimento fino alla disfatta dell’avversario. Quando si è presi in questo circolo vizioso, non c’è assolutamente nessuna uscita. Comparato a questo effetto, il principio della pubblicità e della suggestione di massa nella guerra della propaganda puo’ quasi essere considerato marginale .




L’inversione della realtà come arma di guerra dei media, con il suo spirito paranoide, è persistito fino ad oggi. Chiunque degli osservatori contemporanei è stato in grado di descriverne le manifestazioni con grande esattezza, perché non l’hanno piazzato nel suo contesto storico. In questo senso, ad esempio, il ricercatore e filosofo francese Pierre-André Taguieff, ha utilizzato l’espressione “antisemitismo assoluto” per descrivere il punto di vista dei Palestinesi, dopo il 1967 :

« Il sionismo quindi, è un nuovo “nazismo” che minaccia di dominare e distruggere la totalità della specie umana… mentre nel contesto delle élite occidentali non si cessa di invitare a evitare le espressioni “islamofobe”, il direttore del Centro islamico di Ginevra, Hani Ramadan, denuncia tranquillamente il “genocidio perpetrato verso i musulmani» .

Si noterà che la tematica di Ramadan è quasi identica a quella dei propagandisti nazisti. Entrambi si presentano come i bersagli din una cospirazione ebraica, ed il risultato potenziale del loro “processo logico” – per usare un’espressione di Hannah Arendt – è il genocidio. Sebbene abbiano invertito la verità, le loro affermazioni hanno una caratteristica  inquietante e pericolosa: una inversione morale che conduce a un comportamento criminale e ad una violenza senza ritegno.

Mélanie Phillips, una giornalista e blogger inglese senza peli sulla lingua, cita un articolo di  Leo McKinstry, autore e giornalista di Belfast,  il quale scrive regolarmente sul Daily Mail, il Daily Express e il Sunday Telegraph . McKinstry sottolinea l’inversione della realtà concernente Israele nei discorsi pubblici inglesi e la chiama con il suo vero nome :
” Per una straordinaria inversione della realtà Israele è diventato uno Stato paria a causa della sua determinazione a difendersi. Una grottesca doppia morale è oggi all’opera, per la quale terroristi arabi assassini sono acclamati come “combattenti della libertà”, mentre le forze di sicurezza israeliane sono trattate come gangsters fascisti. Nessuna nazione è stata cosi’ demonizzata come Israele.”
Una recente inchiesta a campione condotta in Europa rivela che Israele è considerato oggi come “la più grande minaccia” – una totale assurdità, dato che Israele in realtà è la sola società libera e democratica in Medio Oriente. Ma un tale risultato riflette la forza della propaganda anti israeliana che imperversa nei media europei. Il fatto che tale sentimento anti israeliano abbia l’aria di un apparente sostegno verso i Palestinesi non cambia niente: è profondamente antisemita….”

L’inversione della realtà come metodo politico
Quando si studia la storia dell’inversione della realtà come metodo di propaganda, appare chiaro che le ideologie naziste avevano perfezionato tale arma. Si inorgoglivano apertamente dei loro successi, riconoscendo agli Inglesi di aver loro dato l’esempio.
Durante la Grande Guerra Mondiale (1914-1918) la propaganda inglese incoraggio’ con successo la diserzione dei dei soldati dellePotenze Centrali e la demoralizzazione della popolazione civile. Hitler, da parte sua, insistette sull’uso inglese della propaganda concernente il preteso massacro e lamentando che l’Impero tedesco non avesse mai capito l’importanza della propaganda e che coloro che ne erano incaricati fossero degli incompetenti.

Sotto la direzione di Lord Northcliffe, propietario del Times, gli Inglesi furono i primi a sfruttare il progresso dei media di massa e la pubblicità, mirando all’opinione pubblica piuttosto che alle élites. Il loro obiettivo strategico era di “convincere il nemico dell’inconsistenza della sua causa e della certezza della vittoria degli Alleati”.

A questo scopo immaginarono numerose strategie originali di propaganda, tra le quali quella riguardante la popolazione civile per far vacillare il sostegno al governo. Si proposero di rompere la coalizione dell’Impero di Asburgo fomentando la sedizione tra le diverse componenti della popolazione. Nei loro sforzi gli agenti della propaganda britannica coniarono l’espressione “auto determinazione nazionale”, come arma di guerra politica.
Uno dei mezzi utilizzati dagli inglesi fu la “propaganda dei massacri”. La loro più straordinaria accusa fu che l’Impero tedesco avesse creato una “istituzione di sfruttamento dei cadaveri” (Kadaververwerkungsanstalt) per farne sapone… CONTINUA A LEGGERE QUI


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