Karl Marx, gli ebrei di Gerusalemme e l'UNESCO
di Shlomo Avineri
Jewish Review of Books, numero 9, primavera 2012
Quando nel 1854 scoppiò la guerra di Crimea, ponendo la Russia contro l'Impero Ottomano e i suoi alleati europei, Karl Marx stava lavorando su Das Kapital nella sala di lettura del British Museum. Nel frattempo, tirava a campare scrivendo per Horace Greeley sul radicale New York Daily Tribune. La maggior parte di questi articoli erano pure scopiazzature giornalistiche, ma alcuni di loro riflettevano le sofisticate intuizioni storiche di Marx.
Anche se l'Impero Ottomano a quel tempo si estendeva sin nell'Europa orientale, le complessità della sua politica interna e delle sue condizioni sociali erano poco conosciute anche tra i più informati lettori dell'Europa occidentale. Nella lontana America, la gente ne sapeva ancora meno, e questo diede a Marx l'opportunità di scrivere un lungo articolo sull'argomento, pubblicato sul quotidiano Tribune il 15 aprile 1854. Marx descrive la complessa demografia etnica e religiosa dell'impero ottomano e si sofferma piuttosto a lungo sulle condizioni delle comunità minoritarie che vivevano sotto il dominio musulmano. Fornì ai suoi lettori una dettagliata spiegazione del sistema del Millet, che dava ai non-musulmani un certo grado di autonomia culturale e di autogoverno religioso, compresi i diritti di mantenere propri tribunali interni e di raccogliere le proprie tasse.
Siccome la guerrà di Crimea iniziò con una disputa religiosa incentrata sulla Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, Marx dedicò un paragrafo alla città e la sua popolazione. Egli comincia affermando che la sua "popolazione sedentaria ammonta a circa 15.500 anime, di cui 4.000 sono musulmani e 8.000 ebrei". Egli continua dicendo che "i musulmani, formando circa un quarto della totalità, costituito da turchi, arabi, e Mori, sono, naturalmente, i padroni a tutti gli effetti." Dopo l'asciutto elenco dei fatti, ciò che segue è un po' sorprendente. Marx prosegue:
"Niente è uguale alla miseria e la sofferenza degli ebrei di Gerusalemme, che abitano il quartiere più sporco della città, chiamato Hareth-el-yahoud. . . tra il [monte] Sion e il [monte] Moriah. . . [Essi sono] l'oggetto costante dell'oppressione musulmana e dell' intolleranza, insultati dai Greci, perseguitati dai latini [cattolici], vivono solo delle scarse elemosine che ricevono dai loro fratelli europei."
Egli fa notare che gli ebrei di Gerusalemme non sono nativi, ma provengono da paesi diversi e lontani ", e sono attratti a Gerusalemme dal desiderio di abitare la Valle di Giosafat e di morire sul luogo stesso in cui è attesa la redenzione" Conclude Marx:
"Preparandosi alla loro morte, soffrono e pregano. La loro materia si rivolse a quella montagna di Moriah, dove un tempo sorgeva il tempio del Libano, a cui non osano avvicinarsi; versano lacrime sulla sventura di Sion, e la loro dispersione nel mondo".
Per chiunque abbia familiarità con il ritratto velenoso che Marx fa del giudaismo nel suo saggio giovanile "La questione ebraica", per non parlare dei suoi molti commenti poco lusinghieri sugli ebrei come individui (dei seguaci socialisti, come per esempio Ferdinand Lassalle), le sue parole giungeranno come una sorpresa. Che nell'unico posto tra tutti gli scritti di Marx in cui egli esprima qualche empatia per gli ebrei, si riferisca proprio agli ebrei di Gerusalemme in attesa del Messia è, per lo meno, piuttosto straordinario. Si dà il caso, tuttavia, che l'asciutta elencazione di Marx di questi fatti demografici avrebbe avuto per me una qualche utilità diplomatica, circa 120 anni più tardi.
Nella metà degli anni 1970, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) ha pubblicato una serie di rapporti che criticavano gli scavi archeologici israeliani nella Città Vecchia di Gerusalemme dopo il 1967, sostenendo che essi erano scientificamente partigiani e facevano parte di un piano israeliano teso a "giudeizzare" Gerusalemme. Questa accusa sanguinosa, che nasceva da incomprensioni, travisamenti e dalle vertiginose menzogne della propaganda araba, aveva quasi portato alla cacciata di Israele da parte dell'UNESCO.
Nell'estate del 1976, come direttore generale del Ministero degli Esteri di Israele, ho guidato la delegazione israeliana all'Assemblea Generale dell'Unesco riunita a Nairobi, in Kenya. Con l'aiuto delle amichevoli delegazioni provenienti da Stati Uniti, Canada ed Europa, siamo stati in grado di dimostrare che gli archeologi israeliani che conducevano gli scavi a Gerusalemme Est erano desiderosi di scoprire e conservare le antichità romane, bizantine, omayyade e dei Crociati tanto quanto quelle ebraiche. Dopo accesi dibattiti nella sessione plenaria e nelle commissioni e dopo alcune trattative diplomatiche, il tentativo di escludere Israele dalle attività dell'UNESCO fu sconfitto, nonostante una forte coalizione di nazioni arabe, di quelle comuniste e di alcuni paesi del Terzo Mondo.
Una delle più curiose scoperte durante gli scavi a Gerusalemme est |
Nel mio discorso alla sessione plenaria, mi sono concentrato sulla falsità delle accuse. Piuttosto che concentrarmi su fonti bibliche, ho deciso di sensibilizzare l'auditorio sul fatto che ci fosse una maggioranza ebraica a Gerusalemme nel 1850, prima della nascita del sionismo. Per sottolineare il punto, dissi: "Ecco quello che uno dei più grandi pensatori del diciannovesimo secolo - che alcuni ritengono il maggiore pensatore del 19° secolo - ha affermato nel descrivere la Gerusalemme di quei tempi." Dopo aver letto il passaggio tratto dal Tribune sui "4.000 musulmani, 8.000 ebrei" di Gerusalemme aggiunsi: "Sono sicuro che i nostri colleghi sovietici capiranno immediatamente che sto citando Karl Marx".
Il delegato sovietico - chiaramente un rozzo apparatchik - balzò in piedi e gridò: "Menzogna! Questo è un falso! Karl Marx non ha mai scritto ciò!". In risposta, ho sollevato il volume da cui avevo tratto la citazione e ho chiesto che si prendesse atto che stavo utilizzando l'edizione degli scritti di Marx sul colonialismo pubblicata dalla casa editrice ufficiale per le lingue straniere di Mosca, aggiungendo: "Sono sicuro che il nostro collega sovietico non stia suggerendo che la casa editrice ufficiale sovietica abbia falsificato i testi di Karl Marx". La sala esplose in una risata, anche se molti partecipanti non erano molto divertiti.
A un ricevimento all'ambasciata, quella sera, il capo della delegazione della Repubblica Popolare Cinese e il suo interprete mi si avvicinarono. Col viso di ghiaccio, ma con uno scintillio negli occhi, quel diplomatico mi disse: "Ovviamente non siamo d'accordo con la vostra presentazione. Ma gradiamo sempre quando Marx viene citato ai sovietici."
Come Karl Marx, il battezzato nipote di due rabbini, si sarebbe comportato, è tutt'altra faccenda. Sia come sia, l'Unione Sovietica ora non esiste più, ma una maggioranza ebraica a Gerusalemme sì.
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Shlomo Avineri, professore di scienze politiche presso l'Università Ebraica di Gerusalemme, è membro del comitato di redazione dell'edizione critica delle opere di Karl Marx e Friedrich Engels, Marx-Engels-Gesamtausgabe.
2 commenti:
Bello, non lo sapevo (di Marx, voglio dire. Della maggioranza ebraica a Gerusalemme sì). Me lo rivendo subito.
eh, in effetti, questa è proprio gustosa...!
A presto Barbara!
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