sabato 14 aprile 2012
Sognare di fuggire da Teheran
Andrea Milluzzi
Che cosa siete venuti a fare? I ragazzi di Teheran guardano stupiti i (pochi) occidentali che si avventurano nella capitale di uno Stato che, oggi, per la comunità internazionale è, ancora più di dieci anni fa all'epoca della famosa espressione di George Bush, l'architrave dell'"asse del Male". Il programma nucleare con le conseguenti sanzioni sempre più stringenti, la risposta muscolare con i test missilistici, la minaccia di bloccare lo stretto di Hormuz, lo stop alla vendita di greggio ad alcuni Paesi Ue (Francia e Gran Bretagna in testa). E, sullo sfondo, la minaccia di una guerra con Israele (e gli Stati Uniti) che sarebbe imminente e che rischierebbe di destabilizzare il Medio Oriente tutto. Non bastasse il già complicatissimo quadro internazionale, il 2 marzo si vota per il rinnovo del Parlamento, il primo test dopo le controverse presidenziali del 2009 che diedero il via a una Primavera soffocata nel sangue e andata per questo a sbocciare altrove. Il ministro dei servizi segreti e della sicurezza nazionale le ha già definite "le elezioni più difficili della storia dell'Iran". La guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei vede nel voto un "potenziale rischio per la sicurezza". Quando in realtà è uno scontro tra il suo potere, il potere dei religiosi ultraconservatori contro il potere, ugualmente conservatore, del presidente "laico" Mahmoud Ahmadinejad. Posta in gioco: il controllo del Parlamento. E senza opposizione visto che i riformisti, coi loro leader agli arresti sono orientati verso il boicottaggio delle urne.
Eppure tutto questo sembra interessare assai poco ai ragazzi di Teheran, alla gente comune, alle prese con più urgenti problemi spiccioli di sopravvivenza. E col sogno, spesso, di andarsene, pur con qualche nostalgia, da un Paese carico di passato ma senza prospettive per il futuro. Dietro quella domanda: "Cosa siete venuti a fare?", c'è la frustrazione verso un presente troppo difficile da accettare per i cittadini, figurarsi per i forestieri, se il corollario che ne segue suona più o meno, così: "Non è come quattro mesi fa, non è come due mesi fa, non è come ieri. Ogni giorno che passa va sempre peggio". La rassegnazione è figlia da una parte dei sogni traditi circa la possibilità di un cambiamento e dalla dura repressione che ne è seguita. Dall'altra da condizioni di vita ormai al limite del sopportabile. Dice Reza, 34 anni, un piccolo imprenditore che non se la passerebbe neanche male ma che è abituato a guardarsi attorno e a trarre delle conclusioni: "Questi che ci governano sono dei pazzi, non sono veri musulmani. L'economia va sempre peggio, i giovani fanno di tutto per lasciare il Paese e loro? Parlano di religione, di regole di comportamento".
Gli iraniani hanno un'età media di 25 anni, la stragrande maggioranza di loro è nata dopo la rivoluzione khomeinista e del 1979. Ma sono cresciuti con Internet e la televisione tv satellitare, ufficialmente banditi ma comunemente diffusi. E sognano una vita lontano dall'antica Persia, magari proprio in quei Paesi dipinti ogni sera dai canali ufficiali come nemici e simbolo di ogni nefandezza. Si ritrovano, i ragazzi, in fila ogni mattina davanti alle ambasciate europee alla difficile caccia di un visto. Leila ha 28 anni e una sorella che vive a Roma, dove la vorrebbe raggiungere: "L'Europa non ci rilascia facilmente visti, non è come ai tempi dello Scià, quando il nostro passaporto aveva un valore. Per uscire dal Paese qualcuno deve garantire per noi pagando una cauzione che, nel caso dell'Italia, è di 3 mila euro. Mio padre ha dovuto fare una colletta fra i suoi amici". Babak, invece, vive a Tabriz, nell'Iran settentrionale vicino alla Turchia. Sta finendo gli studi da traduttore all'Università, poi dovrà fare i due anni obbligatori del servizio di leva. E dopo? "Dopo voglio solo oltrepassare quella frontiera e andarmene da qui dove ogni cosa è un problema e passiamo le giornate a risolvere questioni burocratiche".
Il malcontento è espresso sottovoce. Per strada non c'è nessuno che sfidi lo sguardo severo e attento di pasdaran e basiji, i guardiani della rivoluzione. In molti sognano di creare un proprio business ma in pochi ci provano realmente. Con 200 euro si può iniziare un'attività, non esiste copyright, ma la burocrazia e la diffusa corruzione uccidono ogni entusiasmo. Ancora Babak: "Vorrei entrare nella Mezza Luna (la Croce rossa locale), ma solo per farmi dare il certificato di un corso che ho seguito devo scrivere decine di lettere piene di reverenze e sperare che siano sufficienti". La difficoltà a trovare un lavoro costringe i giovani a rimanere in casa coi genitori fin oltre i trent'anni. E il caso ad esempio di Saeed, 40 anni, che sta ancora con mamma e papà e aspetta solo di avere i documenti necessari per sposare un'iraniana emigrata in Australia e conosciuta sul Web.
La fuga dal regime ha un prezzo da pagare ed è la nostalgia delle radici. Arash ha 25 anni, è originario di Shiraz. Da tre anni si è trasferito a Kiev dove sta studiando come progettista di aeroplani, ma non ha mai dimenticato l'Iran, tanto che non riesce a trattenere una lacrima quando il treno che da Istanbul lo sta riportando a Tehran passa il confine: "Non posso vivere in Iran, non avrei futuro. Ma qui ci sono la mia famiglia, i miei amici, qui si parla la mia lingua. Avevo anche una fidanzata, ma quando sono partito per l'Ucraina ci siamo lasciati. E le donne occidentali non sono ancora riuscito a capirle". Non sempre l'estero si rivela un Eldorado. Marlen ha lasciato Los Angeles per tornare a Teheran e con 60 mila dollari ha aperto il Bistrò, ristorante italiano, e in cucina non può usare naturalmente né alcol né carne di maiale. "L'Iran ha dei limiti evidenti. Ma pensate che a Los Angeles siano liberi? Con tutte quelle tasse da pagare e la polizia che controlla le strade con le telecamere?".
In Iran si sopravvive se si hanno molti molti soldi e gli amici giusti da comprare. Altrimenti è battaglia quotidiana. Uno stipendio medio si aggira sui 400 euro al mese, l'affitto di un appartamento a Teheran sfiora i mille. La sanità non è un bene comune e per garantirsi le cure gli iraniani devono pagare un'assicurazione privata. Un chilo di riso, piatto alla base della cucina persiana, costa 8 mila toman (quasi cinque euro), banane e albicocche superano l'euro al chilo, un chilo di carne vale 25 euro. Le bollette di luce e gas viaggiano in media sull'equivalente di 60 euro mensili. Per un litro di benzina (razionata dal 2007) si spende quasi un euro, nonostante questo sia il terzo Paese produttore di petrolio al mondo. Racconta Alì: "Il sussidio mensile che ci dà il governo è di 40 euro che se ne vanno in un giorno. Noi siamo fortunati perché lavoriamo in due e abbiamo un solo figlio, ma siamo un'eccezione" L'ultimo aumento dei prezzi, in alcuni casi del 500 per cento, è di due settimane fa, primo risultato di un embargo occidentale che nel 2012 si annuncia ancora più duro e che ha già prodotto l'effetto della svalutazione dell'8,5 per cento della moneta nazionale rispetto al dollaro. E la Cina ha già iniziato a pagare il petrolio in merci e non in denaro.
Se non sulla pubblica piazza, il dissenso verso l'operato di un governo capace solo di dichiarazioni reboanti e di sfide internazionali ma che riduce in miseria i suoi abitanti, di solito si esprime nelle urne. Non sarà il caso del 2 marzo quando si voterà per il il rinnovo del Majles, il Parlamento. Il fronte riformista, che ora ha il 20 per cento dei seggi ma che ha un seguito reale molto più ampio, ha invitato i suoi elettori ad astenersi dal voto. All'opposizione manca un leader. Mir-Houssein Moussavi e Mehdi Karrubi, i due capi dell' Onda verde sono costretti al silenzio: sono agli arresti domiciliari nello sperduto nord, al confine con l'Azerbaijan. Arrestati nel febbraio 2011, quando sulla scia della primavera araba i giovani iraniani tornarono in piazza per un breve periodo, i due politici aspettano ancora un processo. Sono stati gli stessi pasdaran ad ammettere che Moussavi e Karrubi non possono essere processati perché l'opinione pubblica potrebbe trarne nuova linfa per tornare in piazza. Un'eventualità che il regime vuole assolutamente evitare, vista la paralisi politica in cui è bloccato da più di un anno, da quando cioè i contrasti fra Ahmadinejad e la guida suprema Alì Khamenei sono diventati pubblici.
Nonostante i ripetuti appelli di Khamenei all'unità, la maggioranza conservatrice si presenterà alle elezioni con cinque liste diverse. Le due principali sono Jebhe mottahed (Fronte unito dei conservatori) capeggiata dal presidente dell'Assemblea degli esperti, l'Ayatollah Mohammad Reza Mahdavi e Jebhe paydari (Sopravvivenza della rivoluzione islamica), nata nel 2011, con l'ex guida spirituale di Ahmadinejad, l'ayatollah Mesbah Yazdi, come leader. E Ahmadinejad? Il presidente appare isolato, tanto che il Majles lo ha convocato, dopo le elezioni, per avere spiegazioni sulla politica economica ed estera, mossa che ha il solo precedente del 1981, quando il Parlamento fece cadere il presidente Banisadr.
Tutti sanno che in Iran la ricchezza derivata dal petrolio esiste ma serve a mantenere il potere, la sua corruzione e i suoi giochi politici con i finanziamenti ad Hezbollah, Hamas, ai talebani e al regime siriano di Bashar al Assad. È difficile trovare qualcuno che appoggi il regime, ma è impossibile avere opinioni favorevoli ad un intervento dell'Occidente: il solito riflesso che i popoli hanno contro la minaccia del nemico esterno. L'attenzione piuttosto è rivolta ai manifestanti nella vicina Siria, perché se avessero successo potrebbe verificarsi quello che in molti profetizzano: "Ogni 25 anni abbiamo fatto una rivoluzione. Questa volta siamo solo un po' in ritardo".
L'Espresso: 20012, fuga da Teheran
http://78.40.160.68/rassegna/rassegna.asp
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