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for Human Rights in the Occupied Territories
for Human Rights in the Occupied Territories
da Shalom 12/07 - articolo di A.Pezzana
Per definire l’aspetto democratico di una società non può esserci di meglio che una organizzazione che “promuove i diritti civili, serve da centro di ricerca occupandosi dello sviluppo dell’educazione pubblica, il tutto per assicurare che il paese operi ad un livello etico il più alto possibile“. Si può non essere d’accordo? Il paese è Israele e il centro si chiama B’Tselem, una parola che viene dalla Genesi (1:27), “Dio creò l’essere umano a sua immagine”, e che oggi è usata quale sinonimo di “dignità umana”, nel senso che tutti nasciamo liberi e uguali in dignità e diritti. Chi non sottoscriverebbe?
Le domande cominciano però quando, dopo le definizioni, si va oltre la facciata. Perchè i diritti umani che B’Tselem difende sono solo quelli dei palestinesi che vivono a Gaza e nel West Bank, li difende dalle violenze che Tsahal, l’esercito di difesa israeliano, commette nei loro confronti, sia fisicamente che mediante altre violazioni, come espropri di case o terre ritenuti illegali, o da azioni militari contro la popolazione civile.
Nei suoi uffici, al quarto piano di un edificio nella zona industriale di Gerusalemme, lavorano circa 40 persone, più una decina di “investigatori”, gente che va in giro per i territori per raccogliere le proteste dei palestinesi e per tenere sotto controllo il comportamento dell’esercito israeliano. Mi ha colpito, entrando, un attestato di benemerenza appeso nell’ingresso, con gli elogi della Fondazione Carter, quello stesso presidente che è tornato di recente all’onor della cronaca, dopo un passato da presidente Usa non proprio onorevole (difficile dimenticare la sua totale sconfitta di fronte all’Ayatollah Khomeini che aveva sequestrato i dipendenti dell’ambasciata Usa a Teheran) con un libro best seller nel quale sostiene l’equazione Israele=Apartheid. Fatto curioso, la data dell’attestato è il 1989, esattamente l’anno di costituzione di B’Tselem, quando si dice intesa a prima vista.
Rilevante è anche il budget annuale, 3 milioni di dollari, in gran parte proveniente da istituzioni pubbliche internazionali o fondazioni (brilla la Fondazione Ford, un nome che ha lasciato tracce nella storia dell’antisemitismo americano), i privati partecipano solo al 20%. Non sempre le denunce di B’Tselem sono prive di fondamento, gli eserciti di difesa non si occupano di tè benefici, quando c’è una guerra, quando si spara perchè si è in zona di fuoco, è probabile che vengano commessi degli errori, ma la specialità del nostro centro è quella di fare in modo che venga alla luce solo il risultato e non le condizioni che l’hanno determinato. Gaza, per esempio. Israele ne è uscita in modo completo e definitivo nell’agosto 2005, ma secondo il punto di vista di B’Tselem è ancora Israele il responsabile di quanto accade nella striscia. Lanciare missili kassam su Israele non è una attività da elogiare, ma non vale pena citarla, quello che interessa ai nostri ricercatori sono le attività brutali e violente dell’esercito israeliano.
Quando deve arrestare un terrorista, asserragliato in una casa privata, con la possibilità che spari e uccida, i soldati isrealiani, per non commettere alcun atto contro i diritti umani palestinesi, dovrebbe suonare il campanello e chiedere se il signor terrorista X è in casa, e poi invitarlo con le buone a consegnarsi. In questo caso si può star certi che nessuna prevaricazione verrà commessa. Peccato che le cose vadano in maniera diversa. Ma a B’Tselem questo non importa, così si sorvola sull’uso dei civili quali scudi umani da parte di Hamas e dei terroristi in generale. E’ un particolare irrilevante, infatti, nei rapporti vengono solo evidenziati i numeri delle vittime palestinesi paragonate a quelle israeliane, che sono inferiori, il che sarebbe la prova della condotta priva di ogni moralità di Tsahal.
Gaza è una enorme prigione, non conta nulla che Hamas, invece di dedicarsi a costruire una società in grado di trasformarsi in stato, abbia preferito continuare a combattere Israele, anche questo aspetto è irrilevante, l’importante è scrivere che Israele ha ucciso 668 palestinesi a Gaza, fra i quali 359 che non avevano a che fare con i combattimenti, aggiungendo subito dopo che ben 357 altri palestinesi sono morti negli scontri tra Fatah e Hamas, e chi legge queste righe accostate alle altre non può fare a meno di pensare ad una responsabilità, magari indiretta, di Israele. Il risultato è che gran parte dell’attività di B’Teselem mira a far ricadere sullo stato ebraico la responsabilità delle condizioni dei palestinesi, escludendo nel modo più assoluto, cosa che risulta chiarissima dai documenti prodotti, ogni qualsivoglia, anche timida, analisi della situazione politica generale.
Ed è a B’Tselem che vanno ad abbeverarsi i giornalisti stranieri, serviti per altro con profusione di una quantità di materiale informativo che poi ritroviamo negli articoli che scriveranno sui loro giornali. E noi, in Europa, a chiederci ingenuamente quale fosse il virus che infettava le menti ed i tasti del computer di tanti corrispondenti. Senza andare tanto lontano il servizio è già bell’impostato, storie, cifre, immagini, B’Tselem è lì per fornirli, basta alzare il telefono ed ecco pronto tutto quanto occorre per incrinare una volta di più l’immagine di Israele.
Si dirà, è la democrazia, bellezza. Certo, a nessuno viene in mente di proibire la propaganda a favore del nemico, nemmeno in tempo di guerra, ci mancherebbe, la democrazia prima di tutto. Possibile però che a nessuno venga in mente di creare un servizio alternativo per informare chi fa informazione, per dare della situazione mediorientale un quadro completo, invece delle solite lamentazioni che ascoltiamo ormai da troppo tempo?
Chi pensa che la pace sia dietro l’angolo non conosce le dinamiche mediorientali, una regione nella quale vive Israele, una democrazia che si difende contro chi vorrebbe al suo posto una dittatura, quale è in fondo la regola da queste parti.
Chi pensa che la pace sia dietro l’angolo non conosce le dinamiche mediorientali, una regione nella quale vive Israele, una democrazia che si difende contro chi vorrebbe al suo posto una dittatura, quale è in fondo la regola da queste parti.
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