L'antisionismo contraddistingue chi contesta radicalmente il movimento sionista, nato a fine
Ottocento, imperniato sul diritto all’autodeterminazione dei popoli e finalizzato alla costituzione di uno Stato d’Israele sul territorio che divenne parte del Mandato britannico in Palestina.
L’antisionista non riconosce al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione; nega fondamento giuridico al Trattato di Sanremo del 1920 e alla Risoluzione n. 181 dell’Onu del 1947 alla base della nascita di Israele; nega il diritto al ritorno agli ebrei della diaspora e, dunque, sulla spinta di tale non riconoscimento, solleva obiezioni radicali alla stessa presenza ebraica. L’antisionista contemporaneo muove peraltro dal falso convincimento che la nascita dello Stato di Israele rappresenti una rivalsa rispetto alla Shoah ed un risarcimento europeo al popolo ebraico ai danni delle impotenti comunità arabe stanziate in Palestina, dimenticando l’ampiezza e le ben più risalenti origini del movimento sionista.
Gli antisionisti più convinti ricorrono spesso ad argomenti utili a spiegare l’illegittimità della statualità israeliana, ad esempio instaurando paragoni tra Israele e il Sudafrica dell’apartheid, Stato al tempo collocato ai margini della comunità internazionale; nonché, insistendo su cliché antiebraici come il tema del blood libel, evocato da un articolo apparso nel 2009 sul quotidiano svedese Aftonbladet contenente accuse ai militari israeliani di coinvolgimento nel traffico di organi di giovani palestinesi.
Nella realtà gli attuali sostenitori dell’antisionismo esprimono autentiche posizioni
antisemite, per cui l’antisionismo appare rientrare nelle forme del nuovo antisemitismo. Questa affermazione trova riscontro negli studi condotti, ad esempio dal CDEC, sul tema: esiste una correlazione tra pregiudizio antiebraico ed antisionismo; non tutti gli antisionisti sono antisemiti però una parte di coloro che esprimono atteggiamenti di critica a Israele aderiscono anche agli stereotipi antiebraici. E i siti antisemiti tendono a sostituire il termine “ebreo” con “sionista”, anche se tra gli ebrei vi sono critici e detrattori del sionismo. I temi dell’antisionismo forniscono un formidabile collante a formazioni estreme di destra e di sinistra che fondono la questione negazionista con la cancellazione dello Stato di Israele.
Se è agevole condurre una differenziazione sul piano teorico, nella realtà le manifestazioni dell’antisemitismo si sovrappongono e si saldano in un indistinto atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei. Sostenendo che lo Stato di Israele non ha diritto di esistere si legittimano altre due dimensioni dell’antisemitismo, quella apparentemente e solamente etnica e quella apparentemente e solamente religiosa (cfr. audizione comunità ebraiche). Se poi a livello internazionale uno Stato come l’Iran legittima l’idea che è possibile cancellare Israele, questo comporta una saldatura con i temi classicamente antisemiti a partire dalla negazione della Shoah.
Il fenomeno è assai complesso e si fonda non soltanto su ignoranza ma anche e soprattutto su atteggiamenti ideologici. La speciale animosità nei confronti degli ebrei si spiega storicamente anche con il “perturbamento” derivante dal loro non essere di solito identificabili esternamente nonostante siano un gruppo molto forte sul piano identitario.
L’antisemitismo nel contesto internazionale
Secondo molti osservatori l’antisemitismo è la più antica forma di odio nei confronti di un popolo. Si può anche non condividere questo primato ma non si può porre in discussione che la Shoah ha rappresentato la più grande tragedia nella storia dell’umanità. Essa non è l’unico genocidio ma certamente si tratta del “genocidio unico”, secondo la visione di David Bidussa e Bernard Bruneteau, nel senso che assomma in sé tutte le caratteristiche di tutti i genocidi ed ogni manifestazione antisemita costituisce un delitto gravissimo nei confronti dei diritti fondamentali dell’uomo.
La novità assoluta che si affaccia sulla scena internazionale – e che l’indagine ha contribuito a fare emergere - è l’elemento genocida, che consiste nel promettere che gli ebrei possano subire un’altra Shoah. E’ un elemento che salta agli occhi nei discorsi pronunciati dal leader iraniano Ahmadinejad dal banco dell’Assemblea generale dell’ONU e a cui fanno eco in Europa le posizioni di molti gruppi estremi, sia di destra che di sinistra, cui non corrisponde un’adeguata azione di contrasto e condanna da parte della comunità internazionale.
Il nuovo antisemitismo, che si innesta sui tradizionali sentimenti e pregiudizi antiebraici, in
modo parassitario e in un esercizio di cinismo particolarmente spregiudicato, trae nuovi argomenti dal perdurare delle crisi internazionali ed assume connotati più ardui da individuare, confutare e contrastare. Come evidenziato nel corso dei lavori dell’indagine, la questione sul piano internazionale è da porre a partire dalla specificità di Israele in quanto Stato cui l’opinione pubblica - italiana, europea e mondiale – è solita chiedere più di quanto non chieda agli altri membri della comunità internazionale. E’ diffusa la percezione che Israele sia considerato un Paese speciale in quanto “Stato degli ebrei”, che deve essere più “buono” degli altri e nei cui confronti il giudizio e la condanna sono spesso preliminari. Si tratta dell’unico caso in cui la legittimazione di uno Stato dipende da parametri di natura etica e soggettiva, spesso affidati in sede internazionale al giudizio dei nemici di Israele.
Tra le forme indirette di antisemitismo rientra l’antisemitismo nel dibattito sulla politica
internazionale come critica squilibrata all’operato di Israele nell’evoluzione della situazione in Medioriente. Il processo è stato avviato con l’adozione della Dichiarazione e del Programma d’azione di Durban nel 2001 che ha fornito una base agli interventi di leader internazionali, primo fra tutti il presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad, che indisturbato si pronuncia in tutte le sedi internazionali, anche dai banchi dell’Assemblea generale dell’Onu e in palese violazione della Convenzione delle Nazioni Unite, negando il genocidio e a favore dell’annientamento dello Stato di Israele. A queste minacce se ne sono aggiunte di nuove a carattere genocida. A tal proposito a occorre valutare misure per dare piena attuazione alla Convenzione ONU contro il genocidio e il suo incitamento, nonché l’opportunità di dare sostegno alle iniziative assunte a livello internazionale per il deferimento del Presidente della Repubblica islamica dell’Iran, Ahmadinejad, presso la Corte penale internazionale per incitamento al genocidio.
Quanto al tema della cosiddetta “primavera araba”, dai lavori di indagine è emersa la preoccupazione per una crescita delle formazioni partitiche islamo-fondamentaliste, non soltanto in Egitto, che potrebbe pregiudicare la tenuta di una visione equilibrata nei confronti di Israele e quindi comportare un deterioramento delle condizioni di sicurezza del Paese nella regione. Hanno aggravato il quadro l’accordo tra Fatah e Hamas, organizzazione antisemita che nella sua carta fondativa si prefigge di distruggere tutti gli ebrei, accordo raggiunto senza evidenti iniziative di contrarietà da parte europea. Preoccupano anche gli annunci dei candidati alle elezioni politiche egiziane, previste per l’autunno del 2011, favorevoli alla revisione del Trattato di pace con Israele, ad oggi considerato il perno dell’equilibrio mediorientale. A fronte del modello negativo rappresentato dal caso dell’Iran all’indomani della caduta dello Scià, resta l’incertezza per l’esito delle ribellioni, attesa la difformità di contesti, il diverso ruolo giocato dall’esercito nei vari Paesi, le diverse tradizioni politiche e i diversi orientamenti culturali. Sicuramente l’attenzione maggiore riguarda lo sviluppo della situazione in Egitto, considerato il ruolo e il peso di questo Paese.
Aggrava il quadro l’assenza di un’azione coesa da parte dell’Unione europea, che dopo il
fallimento del progetto franco-egiziano dell’Unione per il Mediterraneo, stenta a fare ricorso alle leve della politica di vicinato per promuovere il consolidamento di istituzioni democratiche in Paesi di confine. L’Unione ha finora destinato scarsi aiuti economici a fronte del piano di aiuti lanciato dal Vertice G8 di Deauville.
A livello europeo preoccupa l’ascesa in Ungheria del partito di estrema destra Jobbik che,
divenuto terzo partito del Paese con il 15 per cento dei consensi, sembra contare sull’appoggio di importanti segmenti della società e della classe dirigente magiare, come pure di analoghe formazioni in altri Paesi dell’Unione europea. In tutte le formazioni estremiste che si affacciano sulla scena politica europea è presente un forte elemento di antisemitismo razzista da contrastare sia con strumenti culturali che politici.
Tutte le forme di antisemitismo hanno tratto nuova linfa e si sono potenziate grazie alla disponibilità della rete web che offre possibilità praticamente infinite di propagazione di informazione distorta.
In questo quadro l’Italia ha in questi ultimi anni offerto testimonianze visibili e concrete sul
proprio impegno contro l’antisemitismo, dando sostegno allo sviluppo delle buone relazioni tra Israele e l’Unione europea, promuovendo iniziative di studio per i giovani da parte della
Commissione europea, dando forte impulso alle proprie relazioni con tale Paese e coinvolgendo in questo processo importanti partner europei, a partire dalla Germania.
Anche sul piano internazionale occorre operare contro quello che il Ministro Frattini ha
definito l’”assuefazione civile” e il relativismo: la lotta all’antisemitismo è un valore assoluto e non vi è dialogo o confronto che possano indurre ad attenuarla o a farvi rinunciare, poiché essa è parte non negoziabile dell’identità europea. Il dialogo tra Israele e il mondo arabo e la pace in Medio Oriente sono ulteriori obiettivi irrinunciabili, ma che non possono essere realizzati col sacrificio del valore assoluto della lotta all’antisemitismo e del diritto di Israele alla propria esistenza e sicurezza.
Una chiave possibile a livello nazionale, ma anche internazionale, è offerta dalla
conoscenza, dalla cultura, dall’informazione e dal coinvolgimento di tutti i livelli di governo in una sorta di piano pedagogico nazionale sulla memoria collettiva. Si tratta di non cedere ai “cattivi maestri”, a coloro che costruiscono le teorie dell’odio sfruttando, in Italia e a livello internazionale, argomenti come la crisi economica, le marginalità sociali o che minimizzano il ruolo di Internet nella diffusione di idee antisemite.
La VI parte del documento QUI
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