domenica 15 aprile 2012

Israele e palestinesi: rinfreschiamoci la memoria






C'è un assente importante, nel modo con cui in questi giorni viene raccontato l'ennesimo scontro tra Israele e i terroristi di Hamas: la verità storica. Israele è tornato (ma in certi immaginari semplici non ha mai smesso di esserlo) quella entità malvagia che nega il diritto dei palestinesi ad avere uno stato. E il raid israeliano e le vittime che ha prodotto sono l'ennesima prova delle colpe del governo di Gerusalemme.

«Dimenticare come si è arrivati a questo punto» 

sembra essere la parola d'ordine di una generazione di cronisti e commentatori colpiti all'improvviso dal morbo di Alzheimer. Curiosamente (si fa per dire) nove volte su dieci gli smemorati sono gli stessi che si riempiono la bocca con le frasi fatte sul «dovere della memoria».



Il peccato originale


Per cominciare: è vero che i palestinesi non hanno uno stato per colpa di Israele? La risposta è semplice: no. La colpa è degli stati arabi e degli stessi leader palestinesi. I quali, pur di impedire la creazione dello stato d'Israele prima, e di annientare l'«entità sionista» poi, non hanno esitato a sacrificare la causa della Palestina. Israele, infatti, aveva accettato già nel 1947 la presenza di uno stato palestinese ai suoi confini, così come previsto dalla risoluzione 181 delle Nazioni Unite. Approvata il 29 novembre del 1947, questa imponeva la creazione di uno stato arabo indipendente, di uno stato israeliano e di un'amministrazione internazionale controllata per la città di Gerusalemme.
Lo stato di Israele nacque ufficialmente il 14 maggio del 1948, mentre ancora si stavano ritirando le truppe inglesi. In quel momento, non esisteva alcuno stato palestinese. Sarebbe nato se la risoluzione dell'Onu fosse stata accolta. Gli israeliani l'avevano accettata. Ma i Paesi arabi no: il loro scopo, al quale ogni altro obiettivo doveva essere sacrificato, era la distruzione di Israele.
Già il 15 maggio, mentre le Nazioni Unite stavano a guardare, milizie provenienti da Transgiordania, Egitto, Siria, Libano e Iraq, aiutate da unità dell'Arabia Saudita e dello Yemen, provarono ad uccidere la nuova creatura nella culla. Il segretario della Lega Araba, Azzam Pasha, disse che quella che era appena iniziata sarebbe stata «una guerra di sterminio e un enorme massacro».
Il conflitto durò un anno. Al termine del quale, anche grazie alle divisioni tra gli aggressori, non solo Israele era sopravvissuto, ma aveva allargato il territorio controllato dalle sue forze, annettendo la Galilea e altre aree a maggioranza araba. L'armistizio con gli aggressori fu siglato nel 1949. L'Egitto vedeva riconosciuta l'occupazione della striscia di Gaza, mentre la Transgiordania si era annessa la Giudea e la Samaria, diventando Giordania, e aveva conquistato la città vecchia di Gerusalemme. Pur di non riconoscere il diritto di Israele a esistere, questi paesi si guardarono bene dal chiedere l'attuazione della risoluzione Onu che prevedeva anche la creazione dello stato palestinese.



Errori e orrori dell'Olp


Pure i palestinesi ci misero del loro. La loro rappresentanza ufficiale, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, che ha sempre rivendicato come territori "minimi" dello stato palestinese la Giudea, la Samaria e la Striscia di Gaza, nacque nel 1964. E cioè quando, in seguito all'armistizio del 1949, Giudea e Samaria appartenevano alla Giordania e la Striscia di Gaza all'Egitto. È quindi a questi due stati che l'Olp si sarebbe dovuta rivolgere per ottenere i territori desiderati. Ma così non fu. Nell'atto costitutivo dell'Olp si legge che «la divisione della Palestina attuata nel 1947 e la fondazione di Israele sono illegali, nulle e non valide, perché contrarie alla volontà del popolo palestinese e al suo naturale diritto alla sua madrepatria». Gli stessi attentati palestinesi contro i civili israeliani iniziarono ben prima del controllo israeliano su Gaza, Giudea e Samaria, assunto nel 1967. In altre parole, furono gli stessi rappresentanti del popolo palestinese a respingere la risoluzione Onu che assegnava loro uno stato, anteponendo ai loro stessi interessi la distruzione del nemico sionista. Un atteggiamento che durò sino al 1988: solo in quell'anno, infatti, Yasser Arafat comunicò al presidente statunitense Bill Clinton che l'Olp intendeva riconoscere il diritto di Israele a esistere.
Fregandosene della "fratellanza islamica", intanto, i paesi arabi, invece di accogliere i profughi palestinesi, avevano deciso che sarebbe stato meglio usarli come arma contro Israele. Con la complicità delle Nazioni unite, i profughi ottennero lo status di rifugiati anche se non erano stati residenti "abituali" in Palestina (come previsto dal diritto internazionale), ma vi avevano vissuto solo per un paio d'anni prima del 1948. Inoltre fu stabilito che sarebbero stati considerati rifugiati anche se avessero ottenuto una nuova nazionalità. Infine, lo status di rifugiato divenne ereditario: per la prima volta nella storia poteva essere trasmesso ai figli. Grazie alla
loro aggressione, quindi, gli stati arabi poterono dire al mondo che Israele aveva causato 900mila profughi palestinesi, il cui numero sarebbe aumentato negli anni, grazie all'incremento demografico. Una pistola carica puntata sul nemico: come spiegò nel 1961 il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, «se i rifugiati tornano in Israele, Israele cesserà di esistere».


Settembre nero


Nel 1967 fu persa un'altra occasione. Egitto, Iraq, Siria, Giordania, Libano e Arabia Saudita, forti dei mezzi militari e dell'addestramento forniti dall'Unione Sovietica, si erano addossati ai confini di Israele. L'Egitto aveva bloccato lo stretto di Tiran e il porto di Eilat, impedendo l'accesso al mare a Israele e dichiarando l'iniziodella guerra. Ma il comandante israeliano, Yitzhak Rabin, il 5 giugno aveva attaccato i nemici con un blitz e, grazie a un uso spregiudicato dell'aeronautica, in soli sei giorni era riuscito a sbaragliarli. Il 10 giugno arrivò il cessate il fuoco. L'esercito israeliano aveva preso il controllo di Gerusalemme vecchia, della Giudea e della
Samaria (sottratte alla Giordania); della penisola del Sinai e di Gaza (tolte all'Egitto); delle alture del Golan (strappate alla Siria).
Israele, però, era pronto a rinunciare a queste conquiste. In cambio, chiedeva il riconoscimento da parte degli stati arabi coinvolti. Avrebbe potuto essere l'occasione per riproporre la creazione di uno stato palestinese. Ma la risposta della Lega Araba, anche in questo caso, fu netta: «Nessuna pace con Israele, nessun riconoscimento di Israele, nessuna trattativa con Israele». Unilateralmente, e avversati da tutti gli altri stati arabi, l'Egitto (nel 1979) e la Giordania (nel 1994) accettarono di riconoscere Israele, ottenendo indietro
buona parte dei territori persi durante le fallite aggressioni militari.
Fu in seguito alla guerra dei sei giorni che i palestinesi compirono uno degli errori più deleteri per la loro causa. Il conflitto, infatti, aveva provocato un nuovo esodo di miliziani palestinesi verso la Giordania. Ben presto, sotto l'insegna dell'Olp di Arafat, costoro si erano dati al terrorismo, uccidendo civili e militari giordani e provando più volte ad assassinare re Hussein. Il quale, nel settembre del 1970, ricorse all'esercito, massacrandone a migliaia e cacciando i fedayn dell'Olp in Libano. Sarà proprio Settembre nero, l'organizzazione terroristica palestinese nata in seguito a questa esperienza, a uccidere undici atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco nel 1972 e a compiere molti altri attentati terroristici.
Ma lo sbaglio politico più grave Arafat lo commise nel luglio del 2000, con la sua scelta scellerata di respingere gli accordi di Camp David proposti dal premier laburista israeliano Ehud Barak e voluti dal presidente statunitense Bill Clinton. Barak aveva messo sul tavolo l'assegnazione al nuovo stato palestinese del 97 per cento del territorio della Giudea-Samaria, l'intera striscia di Gaza, quasi tutti i quartieri arabi di Gerusalemme est e la spianata delle moschee, ad eccezione del muro del pianto. Clinton offriva aiuti economici internazionali per trenta miliardi di dollari, che sarebbero stati usati per aiutare il rimpatrio dei profughi palestinesi e - in parte minore - di quelli israeliani.


La "vittoria" di Arafat

Avesse detto sì, Arafat sarebbe ricordato oggi come il padre della patria palestinese. Invece il vecchio terrorista che nel 1974 si era presentato all'Onu con la pistola nella fondina, e che venti anni dopo aveva vinto il più discutibile dei premi Nobel per la pace, decise di respingere l'offerta. Non riteneva sufficienti le proposte di Israele, e forse non giudicava congrua nemmeno l'offerta economica di Clinton.
Di sicuro non era uomo nato per firmare accordi, ma per sparare ai nemici. Arafat tornò nei territori palestinesi mostrando due dita in segno di vittoria, mentre la folla lo acclamava. Di lì a poco, contro Israele, sarebbero iniziati gli attentati suicidi dei martiri palestinesi. Donne e bambini imbottiti di esplosivo e spediti a immolarsi, che restano a tutt'oggi la migliore metafora della gloriosa "vittoria" di Arafat.
Non è un caso che oggi Arabia Saudita, Giordania ed Egitto sembrino quasi confortati dall'operazione di "pulizia" che Israele sta realizzando nella striscia di Gaza. Più che da Israele, questi paesi sono preoccupati da Siria ed Iran, i grandi sponsor del terrorismo.
Per tutti costoro, la causa dello stato palestinese è sempre stata un pretesto, mai un fine. A maggior ragione adesso, dopo sessant'anni di errori e fallimenti.

Fausto Carioti
01/12/2008
http://hurricane_53.ilcannocchiale.it/?TAG=arafat

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