L'interrogarsi sull'identità nazionale affiora come un malessere in Francia e in molti paesi dell'Unione europea. C'è chi ha analizzato questo malessere, i suoi sottintesi, le sue molteplici determinanti. Vorrei esaminare qui cos'è che appanna gli occhi di certi Europei rispetto alla lettura dell'indentità ebraica e dell'identità della nazione israeliana. Per questo devo risalire alla seconda guerra mondiale e descrivere tre profonde evoluzioni.
La prima concerne lo Stato-nazione, squalificato dai due grandi conflitti del XX° secolo in favore del progetto di una pace europea e dell'unione in uno spazio comune sorpassante le nazioni e le loro rivalità secolari. Si instaura un nuovo ordine sovra nazionale, innanzitutto giuridico ed economico, in reazione all'orrore dello stato criminale nazista e dei regimi collaboratori. Questo bel progetto fu sostenuto, all'inizio, da uomini provenienti dalla Resistenza, di credo socialista e democristiano.
Ma questo progetto fu concepito e ha preso piede senza identità europea.
La seconda evoluzione è una reazione all'orrore della Shoah ed all'odio radicato nell'identità dell'Altro: lo sterminio degli ebrei in quanto tali.
Cio' consiste a sublimare l'Altro ed a farne l'apologia, in nome del "Mai più". Colui che è straniero, diverso, ossia suscettibile di divenire un nemico è ormai pensato come l'Altro, ma senza che il suo posto sia chiaro.
Colui che rifiuta l'Altro rifiuta il genere umano, puo' addirittura essere assimilato agli autori dei crimini contro l'umanità. Siamo tutti divenuti Altri, in una generalità indefinita e anonima nella quale l'individualismo è la sola cosa condivisa e dove tutto va bene perché tutto si vende.
Nello stesso tempo, sotto il duplice effetto della costruzione europea e della mondializzazione, la politica e il diritto si sono indeboliti e sono tornati alla loro missione primaria: organizzare il vivere insieme, gestire le tensioni e le violenze all'interno e fuori delle frontiere. Le nostre società europee fanno ormai prevalere i diritti sui doveri; sono diventate individualiste.
Queste evoluzioni conducono ad un'Europa desiderosa di sorpassare gli antagonismi culturali per aprirsi al multiculturalismo, che elimina il problema della relazione all'altro, allo straniero, al diverso ma che è molto spesso chiamata in causa da particolarismi propri a paesi inquieti, ognuno, per il proprio avvenire.
A causa dell'assenza di un'identità chiara l'Europa si rivela incapace di rispondere a questioni poste da altro che non sia il consumismo. E non ha potuto impedire il ritorno della "pulizia etnica" alla sua periferia. Piuttosto che assumersi i propri doveri e prendersi le proprie responsabilità non puo' far altro che proporre indignazioni compassionevoli.
Si è cosi' installata la compassione per le vittime, l'Altro in stato di debolezza, dall'identità sminuita, di fatto la sola identità che sia compatibile con lo spazio poco chiaro, mal definito che gli è attribuito. Scordando che, come diceva già Hannah Arendt, "la compassione senza giustizia è uno dei più potenti complici del diavolo".
Israele ha preso il cammino inverso, dopo essere stata a lungo vittima, dopo aver fecondato l'umanità a partire da un'identità cosi' forte da traversare la storia. E dopo che gli uomini che ne avevano condiviso valori e ideali non furono intervenuti durante la sua messa a morte. Non è inutile ricordare che il numero di ebrei uccisi in Europa durante la Shoah resta superiore alla popolazione ebrea di Israele di quest'anno. Israele fonda il suo Stato-nazione nel momento nel quale lo Stato-nazione è squalificato in Europa. La guerra comincia in Israele nel momento nel quale finisce in Europa. E Israele non puo' far altro che vincere.
Oggi Israele è accusato di comportarsi come gli oppressori di ieri. E' perfino accusato di essere Stato nazista, di essere Stato razzista. Forse un giorno ci sarà chi griderà che Israele è uno Stato antisemita. Un'ideologia della sostituzione è cosi' all'opera in Europa, dopo la teologia della sostituzione avanzata dalla cristianità per auto-riconoscersi "vera" Israele.
In questa lettura del mondo, i non ebrei avendo appreso la lezione dalla storia si comportano come il "vero" ebreo per mezzo della creazione dell'Europa, dell'elevazione al sovra nazionale, dell'apologia dell'Altro e dell'universale. Al contrario, gli ebrei in Israele si comporteranno come l'europeo di prima della guerra, ancorato al suo Stato-nazione.
L'ideologia della sostituzione riposa su una falsificazione dell'identità ebraica. Distorce l'universalismo in un relativismo indifferente, spogliato da obblighi reciproci ma al quale il confronto con cio' che è differente è insopportabile. Riprende in maniera sconsiderata e automatica i clichés e le menzogne della propaganda anti israeliana. Come la realtà francese, americana, palestinese o cinese, la realtà israeliana è lontana da essere perfetta e non deve essere né idealizzata né santificata.
Piuttosto, come tutte le realtà straniere, deve essere pensata a partire da sé stessa e non attraverso sé stessa.
Come scriveva Emmanuel Levinas, "non si tratta di pensare insieme me e l'altro, ma d'essere di fronte". Ora, nel caso specifico di Israele, il pensiero deve in primo luogo respingere la propensione all'offesa uscita dalle fogne dell'odio- un odio che gli ebrei hanno il diritto di pretendere sia bandito a mai più dall'Europa. Per un europeo conoscere Israele suppone incontrare una realtà che va contro il suo quadro di riferimenti. Solo un pensiero libero puo' al tempo stesso slegare e arricchire il presente delle informazioni dal passato e farne avvenire "Cio' che nessun occhio ha mai visto" (Is. 64.3)
Pensare liberamente comincia con lo scegliere le parole, resistere agli automatismi, agli amalgami, ai sillogismi riduttori e distruttori.
Gilles Bernheim, Grand rabbin de France
Article paru dans l’édition du Monde 31.12.10
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