lunedì 16 aprile 2012

Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’antisemitismo - Parte II

 
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Per questo motivo il CDEC ha svolto nel 2008 tramite l’Istituto per gli studi sulla pubblica
opinione (ISPO) un'ampia indagine sul fenomeno per comprendere le caratteristiche e le
motivazioni delle differenti forme di pregiudizio, che è stata sommariamente illustrata.
Le ricercatrici, Adriana Goldstaub e Betti Guetta, hanno potuto fornire un quadro aggiornato degli episodi antisemiti in Italia che comprendono, tra l'altro, atti di vandalismo, fortunatamente in numero limitato, graffiti offensivi e lettere di insulti alle comunità.

Hanno quindi esposto una documentata analisi sull'atteggiamento antisemita riconducibile ad alcune forze politiche estremiste, sia di destra che di sinistra, non senza proporre riferimenti ai temi dell'integralismo cattolico e del fondamentalismo islamico.


In base alla ricerca condotta dal CDEC le condotte antisemite in Italia restano prerogativa di piccoli gruppi estremisti mentre un discorso diverso va fatto sugli atteggiamenti antisemiti su cui occorre intervenire prima che diventino comportamenti e atti di violenza.

Il 15 aprile 2010 l'indagine è proseguita con l'audizione di rappresentanti delle Comunità
ebraiche in Italia. In particolare, Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia, ha sottolineato che l'antisemitismo ha molte origini e sfaccettature, ma deriva da un substrato culturale generico, che coincide con l’odio e la diffidenza nei confronti del diverso, colpevole di non volere rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni, pur volendo vivere nella società e non volendo esserene escluso. Secondo Gattegna l’antisemitismo e il pregiudizio, che permangono in diversi strati e in diversi modi nella società, possono essere combattuti alla radice solo con la cultura e con la conoscenza. Ma il pregiudizio antiebraico si nutre oggi anche di ragioni anti-israeliane, cui danno alimento taluni mezzi di informazione che appaiono pregiudizialmente ostili nei confronti dello Stato ebraico. In tali casi, la linea di separazione fra antisemitismo e antisionismo diventa labile.
E non vi sono più dubbi quando si nega il diritto di esistere allo Stato di Israele e se ne minaccia l’annientamento.
Sul piano dell'attualità è stata posta attenzione al successo elettorale del partito dell’ultradestra ungherese Jobbik, che utilizza una propaganda e un linguaggio che ricordano da vicino le ideologie razziste sviluppatesi in Europa negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, e al drammatico incremento di episodi antisemiti registrato durante il conflitto militare a Gaza, soprattutto in Gran Bretagna e Francia.

Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha toccato il tema
dell'antisemitismo su Internet e della sua difficile repressione ed evidenziato il pericolo del nuovo antisemitismo rappresentato dall’antisionismo e dagli episodi violenti di cui si sono resi protagonisti immigrati musulmani in Europa.
Richiamando nei contenuti talune riflessioni del Professor R. S. Wistrich, docente di storia europea ed ebraica presso l’Università di Gerusalemme, ha segnalato la saldatura che sussiste tra alcune organizzazioni islamiche e gruppi neonazisti e che è alla base di aggressioni alle comunità ebraiche, alle loro sinagoghe, scuole e cimiteri, ma anche di azioni di boicottaggio in occasione di eventi sportivi (come avvenuto in Svezia a Malmö, nel marzo del 2010, in occasione di una partita di Coppa Davis tra Svezia e Israele, disputata a porte chiuse a causa delle veementi manifestazioni anti- israeliane. Anche la Nazionale israeliana di taekwondo è stata costretta ad annullare la trasferta scandinava, “per ragioni di sicurezza”). Ha altresì auspicato specifici interventi nei confronti delle comunità dell’emigrazione islamica in Europa per isolare le organizzazioni legate al fondamentalismo ed aiutare i soggetti disposti a condividere i valori fondamentali di eguaglianza e tolleranza. Ha dato quindi risalto all’importanza di rafforzare i legami con le comunità ebraiche, migliorando il versante della cooperazione universitaria nel campo scientifico tra atenei italiani e israeliani al fine di offrire una risposta di civiltà a chi propone di boicottare Israele anche nel campo della cultura.

Il rabbino Benedetto Carucci, preside della scuola ebraica di Roma, ha affrontato
preliminarmente il tema delle diverse categorie dell'antisemitismo, osservando però che se dal punto teorico è possibile distinguerle, spesso i fenomeni concreti si pongono nella saldatura tra le definizioni.
Ritiene che fra le cause profonde dell'antisemitismo vi sia un «perturbamento» dovuto
al fatto che gli ebrei sono estremamente forti dal punto di vista identitario ma non facilmente identificabili. L'antisemitismo in alcuni casi è determinato da ignoranza, ma in altri deriva da atteggiamenti ideologicamente costruiti e assolutamente coscienti, più gravi e difficili da superare.
Ritiene quindi importante, ma non sufficiente diffondere cultura e informazione.
Ha anche paventato il rischio che le iniziative incentrate solo sulla memoria della Shoah possono far passare l’idea che l'ebraismo sia risolvibile solamente con il tema dello sterminio, principio inaccettabile per gli ebrei, che non intendono riconoscersi solamente come discendenti delle vittime e come sopravvissuti.


In considerazione dell'ampia diffusione di contenuti antisemiti sul web e delle importanti ricadute che tale fenomeno ha sulla realtà giovanile, rispetto alla quale il Comitato aveva avvertito la necessità di effettuare approfondimenti, il 22 aprile 2010 si è proceduto all'audizione di esperti in materia di monitoraggio on line del fenomeno dell’antisemitismo.

I ricercatori intervenuti, Stefano Gatti, ricercatore dell’Osservatorio sul pregiudizio
antiebraico presso il CDEC, e l’australiano André Oboler, Chief Executive officer di Zionism on the Web, richiamando anche il lavoro del Gruppo di lavoro del Forum globale contro l’antisemitismo svoltosi nel 2009, hanno osservato che il pericolo principale non risiede tanto nei siti web tradizionali chiaramente antisemiti, dei quali è stata fornita una veloce panoramica, che pure possono fomentare l’odio e dei quali si evidenza un aumento verticale, ma piuttosto nei social media.

È stato sottolineato che i social network hanno ormai, specialmente a livello giovanile,
un’importanza per la diffusione di informazioni e opinioni molto superiore ai canali tradizionali e sono stati forniti esempi circa il fatto che anche attività come quelle costituite da semplici ricerche su Internet possono comportare la diffusione di messaggi antisemiti o comunque distorti.
Così, su Facebook o Twitter si crea un contesto in cui l’antisemitismo e altre forme di odio diventano accettabili a livello sociale, anche se non per forza condivise, rendendo più probabile che gli stimoli della comunità on line incidano sui comportamenti reali.

L’antisemitismo on line deve essere considerato un problema globale, cui contrapporre una reazione globale e costante e gli auditi hanno fornito alcuni suggerimenti per contrastarlo tenendo conto della struttura della rete e delle regole con le quali sono amministrati i social network e gli altri siti di scambio di informazioni attraverso il web.
A confermare l’urgenza di dare seguito a tali spunti, soprattutto a seguito di tale audizione
sono apparsi su siti razzisti e antiebraici attacchi specifici e minacce ai componenti del Comitato d’indagine, in particolare alla presidente Nirenstein, dettati anche dalla preoccupazione che il lavoro istruttorio possa sfociare in proposte legislative atte a fermare l'odio antisemita in rete.

L'11 maggio 2010 si è svolta l'audizione del professor Renato Mannheimer, presidente
dell’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO) che ha illustrato i risultati dell'indagine demoscopia svolta su incarico del CDEC nel 2008. Dall'analisi delle risposte fornite ai questionari è emerso che il 10% degli intervistati condivideva affermazioni riconducibili al pregiudizio antiebraico «tradizionale», quello di natura religiosa; l’11% condivideva un pregiudizio definito «moderno», xenofobo, che vede gli ebrei come gruppo organizzato che pensa solo ai propri interessi e si aiuta strettamente al suo interno, tramando contro il resto della società; il 12% condivideva un pregiudizio «contingente», legato ad una distorta valutazione su Israele.
Accanto ad essi è risultato un ulteriore 12% di intervistati che dichiaravano il loro accordo a tutte le affermazioni antiebraiche e che possono essere definiti antisemiti puri. La ricerca ha documentato informazioni circa l'età, il titolo di studio e gli atteggiamenti politici di coloro che manifestano le diverse forme di pregiudizio.

Il tema della diffusione on-line di contenuti antisemiti e razzisti, considerato di importanza
cruciale da parte del Comitato anche alla luce della diffusione su Internet di minacce e insulti nei confronti dei componenti il Comitato, è stato ripreso con l'audizione di Domenico Vulpiani, Dirigente generale della Polizia di Stato, coordinatore della sicurezza informatica e per la protezione delle infrastrutture critiche informatizzate sul territorio nazionale, svolta il 25 maggio 2010.
In proposito Vulpiani ha osservato come la propaganda antisemita e negazionista, fino a poco tempo fa relegata a pubblicazioni di nicchia, ha trovato in Internet uno strumento facile ed economico di diffusione.
La legge 25 giugno 1993 n. 205, recante "Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa" (la cosiddetta “legge Mancino”), prima della diffusione del web, sconta in proposito alcuni limiti di applicazione. Ciò nonostante la polizia postale è riuscita a promuovere con successo alcune azioni di contrasto, di cui sono stati forniti esempi.
Più complesso appare il terreno dei social network dove non si può procedere ad oscurare.
Con essi è in atto una collaborazione, sostanziale più che formale, attraverso la quale contenuti a carattere criminale vengono rimossi. Tale procedura appare però non agevole nel caso di affermazioni di tipo razzista od antisemita perché si pone il problema della difficoltà di assumere la veste di censore rispetto all'espressione di opinioni per quanto discutibili. Pertanto anche in tale occasione è stata ribadita l'importanza di una sfida culturale e sul piano dei valori che accompagni l'azione di tipo repressivo.

Nel corso dell’audizione del Dottor Vulpiani è stata formulata la richiesta che il Governo
provveda con urgenza a risolvere il problema della mancata sigla da parte dell'Italia del “Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, relativo all'incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici”, aperto alla firma nel 2002 ed entrato in vigore nel 2004.

Con la Convenzione internazionale del Consiglio d’Europa per la lotta alla cybercriminalità,
adottata nel 2001, entrata in vigore nel 2004 e ratificata dall’Italia con legge del 18 marzo 2008, n.48, gli Stati si sono impegnati per la prima volta a regolamentare il settore. Il Protocollo addizionale chiede agli Stati di criminalizzare la diffusione del materiale razzista e xenofobo per mezzo dei sistemi informatici attraverso due strumenti: l'armonizzazione del diritto penale e il miglioramento della cooperazione internazionale nell’azione di contrasto. Il Protocollo amplia la portata della Convenzione sulla cybercriminalità per includere i reati legati alla propaganda a sfondo razzistico o xenofobo.
In tal modo, il Protocollo intende fornire alle Parti la possibilità di utilizzare i mezzi e le
vie della cooperazione internazionale stabiliti nella Convenzione in questo campo.

Il 19 ottobre 2010 si è tenuta l'audizione della professoressa Dina Porat, Direttrice dello
Stephen Roth Institute per lo studio dell’antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell’Università di Tel Aviv, incentrata sull'analisi delle nuove forme di antisemitismo, sviluppatesi negli ultimi dieci anni, e dall’emergere di una matrice islamista. Il nuovo antisemitismo si contraddistingue per la sua sovrapposizione all’antisionismo e per la tendenza ad attaccare le comunità ebraiche all’estero per il loro legame con Israele.
Nello stesso tempo i gruppi estremisti non sono solo antisemiti, ma operano contro chiunque non abbia la loro stessa identità o cultura. La professoressa Porat ha fornito anche alcuni dati statistici sull'evoluzione degli incidenti antisemiti nel corso dell'ultimo ventennio, per anno e per singoli Stati, evidenziando la loro correlazione con determinati accadimenti. Nel complesso l'Italia non rientra tra i Paesi in cui gli episodi antisemiti siano più frequenti.
Anche in questa occasione è stata ribadita l'importanza dell'educazione dei giovani in modo
che possano acquisire adeguati strumenti per una corretta interpretazione degli avvenimenti storici e contemporanei ed è stato affrontato il tema della definizione del limite tra critica ad Israele e antisemitismo, analizzando le dinamiche che portano ad una visione che preclude allo Stato d'Israele un’esistenza "normale". Quanto al tema della critica la professoressa Porat ha richiamato la definizione di antisemitismo data a livello europeo nel 2004 in occasione della Conferenza di Berlino in base alla quale i movimenti antisionisti diventano antisemiti quando negano al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione che spetta ad ogni popolo o applicano il doppio standard
chiedendo agli ebrei e ad Israele quanto non chiedono ad altri popoli e Stati.

Sono sicuramente antisemite le critiche che conducono ad equiparare la politica di Israele con quella del nazionalsocialismo o che estendono a tutti gli ebrei sparsi nel mondo la responsabilità delle azioni compiute dallo Stato di Israele.


Ha precisato che la critica ad Israele non si differenzia da quella mossa a qualunque altro Paese se essa riguarda singoli episodi o una determinata politica in un determinato momento. Se invece tale critica si manifesta attraverso espressioni antisemite ed è generalizzata nei confronti degli ebrei e dello Stato ebraico allora cessa di essere tale e diventa antisemitismo.


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